Spunti per una visione introspettiva circa l’onere della prova in materia contributiva

di Francesco Marasco

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1. L’avviso di addebito quale strumento “principe” per le azioni di recupero intentate dall’INPS.
Noto a tutti è il fatto che l’INPS, ma lo stesso dicasi per gli Istituti previdenziali in generale e la Pubblica Amministrazione in toto, prediliga agire, in punto di recupero di debiti contributivi, mediante azioni esecutive intraprese con l’emissione di avvisi di addebito, e ciò in particolar modo laddove l’Ente possa avvalersi “delle risultanze [di un] accertamento ispettivo” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 21 ottobre 2020, n. 22986).
Del pari noto a tutti è il fatto che le risultanze acquisite da un ispettore giammai sono in tutto e per tutto assistite da fede privilegiata, ossia facenti piena prova sino a querela di falso, trovando applicazione la speciale valenza probatoria accordata dall’art. 2700 c.c. “solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore … ed agli altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 23 settembre 2020, n. 19982).
Peraltro, i suesposti rilievi nulla tolgono e nulla aggiungono al fondamentale principio secondo cui l’onere della prova circa la debenza dei contributi oggetto di esazione ricade, esclusivamente, sull’INPS (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 28 febbraio 2025, n. 5358), mentre sul soggetto interessato dalla procedura esattiva (i.e.: datore di lavoro, libero professionista, etc.) graverà il solo e diverso onere probatorio di dimostrare la sussistenza di “situazioni eccettuative rispetto all’obbligo di pagamento integrale della contribuzione” (così, Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 15 aprile 2024, n. 10058).
Più difficile è, invece, capire come l’onere probatorio dell’INPS si atteggi nei fatti, ossia quali prove lo stesso possa e/o debba addurre, soprattutto ove non possa fare affidamento – ex multis e a titolo puramente esemplificativo – a modelli DM/10 (o simili) eventualmente presentati (sulla prova dell’omesso versamento di ritenute previdenziali attraverso la mera presentazione di modelli DM/10, cfr. Cass. Pen., Sez. III, sentenza del 10 aprile 2013, n. 37145), a precedenti sentenze passate in giudicato (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 17 dicembre 2021, n. 40644) oppure, come visto sopra, a eventi riscontrati dal personale ispettivo, in presenza dello stesso.

2.- La sentenza n. 1145/2025 emessa dalla Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Roma.
Orbene, la sentenza n. 1145/2025 della Corte d’Appello capitolina, in funzione di Giudice del Lavoro, offre qualche interessante spunto di riflessione con cui tentare di rispondere, empiricamente, alla suesposta domanda.
Il caso è alquanto semplice da riassumere: il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione promossa da una Società con riguardo a un avviso di addebito emesso dall’INPS a seguito di un verbale di accertamento in cui sarebbe stata cristallizzata, con riguardo alle posizioni di alcuni lavoratori, una realtà di fatto diversa da quella risultante da alcuni documenti, vale a dire lo svolgimento di un maggior numero di ore di lavoro e un superiore inquadramento contrattual-collettivo. Nel fare ciò, il Tribunale aveva dato rilievo preminente alle risultanze evinte dal predetto verbale di accertamento, a cominciare dalle dichiarazioni rese dai lavoratori coinvolti nell’accertamento.
Dal proprio canto, però, la Corte d’Appello, dopo aver premesso che “siamo in presenza di un’azione di accertamento negativo da parte della Società e che la pretesa contributiva dell’Inps trae origine da un verbale redatto a seguito dell’ispezione condotta nel luogo di lavoro” e che “l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo”, ovverosia sull’INPS, ha comunque tenuto a ribadire che “il materiale probatorio” di cui al verbale di accertamento “è liberamente valutabile ed apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente delle circostanze riferite al pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori”.
Tanto premesso e ribadito, il medesimo Collegio di seconde cure ha tuttavia escluso la ricorrenza, nel caso di specie, di “altri elementi”tali da rendere superfluo “l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori”, già solo perché le dichiarazioni valorizzate dal Giudice di prime cure erano riferibili a “soggetti che, da un lato, potenzialmente sono interessati al riconoscimento di un rapporto di lavoro avente un più favorevole trattamento contributivo e, dall’altro, in quanto stranieri, non sono perfettamente in grado di comprendere la lingua italiana”.
A mero completamento di quanto sopra rilevato, il medesimo Collegio aggiungeva altresì che, per quanto concerneva il maggior orario di lavoro, ciascun lavoratore intervistato non aveva indicato un esatto numero di ore, bensì una fascia oraria in cui rendere la propria prestazione, tra l’altro in favore di un esercizio commerciale (i.e.: “trattoria di cucina tipica romana”) verosimilmente caratterizzato da elasticità; e, per quanto concerne la spettanza di un superiore inquadramento, i contenuti delle relative dichiarazioni sono stati ritenuti non conferenti con quelli della declaratoria rivendicata.

3.- Brevi conclusioni sull’asincronia tra la “prospettiva processuale” e la “prospettiva ispettiva” dell’INPS.
La vicenda testé esaminata aiuta a ribadire un fatto ulteriore rispetto a quelli richiamati in apertura della presente nota e che, sebbene noto o quantomeno notorio, tende spesso a essere dimenticato: si tratta, segnatamente, del fatto per cui tra la “prospettiva ispettiva” adottata dall’INPS, in cui la dimostrazione o negazione di un assunto viene ricavata da dichiarazioni raccolte e valutate unilateralmente sul campo, sovente senza alcuna forma di contraddittorio, e la “prospettiva processuale” che, invece, è imposta al medesimo Istituto alla pari di qualsiasi altra parte di un giudizio, non vi è alcuna sincronia.
Come a dire che un assunto ritenuto come provato in sede ispettiva potrebbe non esserlo altrettanto in sede processuale, non conoscendo la posizione dell’INPS alcun tipo di deroga rispetto a quella di qualsivoglia altro “attore sostanziale” della pretesa. Proprio in ragione di tale dirimente rilievo, la stessa Corte d’Appello di Roma, in un altro suo precedente (sentenza dell’8 febbraio 2021, n. 482) ebbe a rilevare addirittura come l’onere probatorio dell’INPS circa le proprie pretese contributive non è condizionato allapreventiva allegazione nell’atto di opposizione del debitore, parte attrice in senso formale ma convenuto in senso sostanziale, di specifiche ragioni di contestazione dei fatti costitutivi della pretesa impositiva”: di modo che il soggetto interessato dall’accertamento ispettivo non sarebbe neppure tenuto ad allegare preventivamente e, si potrebbe dire, “alla cieca” i presupposti che dovrebbero sconfessare l’operato dell’INPS.
Sicché, prosegue la medesima Corte d’Appello, proprio con riguardo ai giudizi di accertamento negativo promossi a fronte di avvisi di addebito, ove si attribuisce “efficacia di ‘allegazione’ a fatti contenuti in atti extraprocessuali (quali la preventiva notifica di un atto formale del creditore esplicativo della pretesa e delle sue ragioni, ravvisato in specie nella cartella esattoriale)”, si “interrompe la circolarità, necessariamente endoprocessuale, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, attestata dal combinato disposto dell’art. 414 nn. 4 e 5 e dall’art. 416 c.p.c. (così Cass. S.U. n. 11353 del 2004, cit.)” (cfr., ancora, C. App. Roma, Sez. Lav., sentenza dell’8 febbraio 2021, n. 482).
Ciò, verrebbe da dire, a maggior ragione nell’eventualità in cui l’opponente non abbia immediata contezza di tutti gli atti formati nel corso del medesimo procedimento ispettivo.
E così, ben dovrà l’INPS premunirsi di una “prova orale (testimoniale e/o per interrogatorio libero)”con riguardo alle pretese dallo stesso articolate, non sussistendo alcunsillogismotra quanto perorato dall’INPS sulla scorta delle risultanze ispettive e la realtà processuale dei fatti (i virgolettati sono tratti da Trib. Nuoro, Sez. Lav., sentenza del 4 luglio 2023, est. Dau). Anzi, l’unico sillogismo ravvisabile è quello che si innesta tra la “infondatezza della pretesa creditoria, con conseguente illegittimità degli avvisi di addebito oggetto di opposizione che per l’effetto vengono annullati” (così, Trib. Salerno, Sez. Lav., sentenza dell’11 novembre 2022, n. 1835) e il mancato assolvimento degli oneri probatori gravanti sull’Istituto previdenziale.