Danno da demansionamento e perdita di competenze tecniche

di Annalisa Rosiello
L’ordinanza della Corte di cassazione n. 3400 del 10 febbraio 2025 affronta la questione del danno subito da un lavoratore a causa di demansionamento e della conseguente perdita di competenze tecniche, sottolineando l’importanza dell’aggiornamento professionale in settori caratterizzati da rapida evoluzione tecnologica.
Fattispecie
Un lavoratore del settore telecomunicazioni con elevata anzianità aziendale e inquadramento al V livello come operatore di customer care, era stato adibito a mansioni di call center, significativamente inferiori rispetto al suo livello professionale (e secondo i giudici del merito corrispondenti al III livello dell’applicato CCNL).
Il dipendente, che si era quindi rivolto al Giudice del lavoro di Milano, ha ottenuto la condanna dell’azienda alla reintegrazione nelle mansioni precedentemente svolte e al risarcimento del danno alla professionalità subito, liquidato equitativamente in euro 13.500 (euro 1.000 per ogni mese di dequalificazione). La sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello territoriale.
La Corte di cassazione ha confermato la decisione di merito, ribadendo tra gli altri questi principi, ampiamente consolidati in giurisprudenza:
- Prova del demansionamento: la Corte fa riferimento ai propri “insegnamenti” in merito al percorso di accertamento dell’an, da svolgersi in tre fasi successive; la prima è costituita dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, la seconda dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal ccnl di categoria, la terza dal raffronto tra la prima indagine e le previsioni della normativa contrattuale.
- Risarcibilità del danno non patrimoniale: la sentenza afferma che nel caso di dequalificazione professionale è risarcibile il danno non patrimoniale derivante da una grave violazione dei diritti del lavoratore, tutelati costituzionalmente. Per la determinazione del danno si deve considerare la durata e la reiterazione del comportamento lesivo nonché “l’inerzia del datore di lavoro anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o di svilirne i compiti” (intento richiesto, invece, quale elemento di configurabilità del mobbing). Il lavoratore, cui spetta la prova del danno, può tuttavia portare elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, come la qualità e la quantità dell’attività svolta, la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento e la nuova collocazione lavorativa dopo la dequalificazione.
- Incidenza del “settore” ai fini della quantificazione del danno: ai fini della quantificazione del risarcimento, enuncia la Corte, rileva anche il mancato aggiornamento tecnologico del dipendente, soprattutto in settori caratterizzati da rapida evoluzione tecnologica.
La decisione riportata sottolinea l’obbligo del datore di lavoro di garantire l’adeguatezza delle mansioni assegnate rispetto alle competenze del lavoratore, evitando situazioni di dequalificazione che possano compromettere la sua professionalità. In settori soggetti a incessante innovazione tecnologica come quello delle telecomunicazioni, è essenziale che i dipendenti siano costantemente aggiornati per preservare e accrescere la loro competenza professionale e competitività sul mercato del lavoro.
La Corte ha valorizzato gli elementi indiziari nella dimostrazione del danno, riconoscendo che il lavoratore non ha l’obbligo di fornire prova testimoniale diretta, ma può evidenziare circostanze atte a una congrua determinazione del pregiudizio subito quali la durata del rapporto, la durata del demansionamento, la “competenza professionale il cui ambito di assegnazione era interessato da una rapida e continua innovazione”.
Conclusioni
L’ordinanza n. 3400/2025 rappresenta un importante ancoraggio nella tutela dei diritti dei lavoratori, evidenziando in maniera efficace che – soprattutto in contesti lavorativi ad alto impatto tecnologico – è fondamentale un ambiente di lavoro che sia rispettoso dei diritti e delle aspettative professionali di ciascuno. Questo è sempre più richiesto alle organizzazioni, affinché si realizzi pienamente l’equilibrio tra esigenze datoriali e valore della persona umana, anche attraverso il lavoro (artt. 2, 3, 4 e 41 Cost.).