Doppio licenziamento: validità ed efficacia del licenziamento successivo in quanto fondato su motivazione diversa e sopravvenuta e, comunque, su fatti non conosciuti in precedenza dal datore
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di Elisa Caggiari
Considerazioni preliminari.
La sentenza in commento (Corte di cassazione, Sez. Lav., sentenza 20.1.2025, n. 1376) affronta la tematica del doppio licenziamento, statuendo la validità ed efficacia della seconda comunicazione di recesso al ricorrere delle seguenti condizioni: il licenziamento successivo deve fondarsi su ragioni diverse e motivi sopravvenuti e, quindi, sconosciuti in precedenza al datore; l’efficacia del secondo licenziamento può essere condizionata dall’eventuale declaratoria di illegittimità del primo provvedimento espulsivo.
Tale pronuncia, che si pone in continuità con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass., Sez. Lav., 4 gennaio 2013, n. 106), ha evidenziato che sono nuovi e sopravvenuti i fatti palesemente differenti rispetto a quelli cui si riferisce il primo procedimento disciplinare. Le circostanze censurate, inoltre, per essere sopravvenute non devono essere note alla parte datoriale nel momento in cui la stessa ha dato avvio al procedimento disciplinare.
Sul tema del doppio licenziamento, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha assunto, nel tempo, posizioni differenti. Invero, un primo orientamento (Cass., Sez. Lav., 18 maggio 2005, n. 10394; 9 marzo 2006, n. 5125) assumeva, a parere di chi scrive, una posizione oltremodo lapidaria in relazione al secondo provvedimento, ritenendo – in particolare – che, nelle realtà assistite dalla tutela reale, il secondo licenziamento dovesse ritenersi sempre inesistente per mancanza di oggetto, in ragione della originaria insussistenza del rapporto di lavoro derivante dall’irrogazione del primo licenziamento.
In sostanza, l’orientamento giurisprudenziale appena richiamato, limita l’esercizio del potere disciplinare sotto l’aspetto temporale, giacchè il datore – a mente di tali pronunce – è legittimato ad adottare un unico provvedimento espulsivo ed è privato, al contempo, della possibilità di sanzionare gravi inadempienze riferite a fatti avvenuti nelle more del primo procedimento disciplinare o, comunque, conosciuti in periodi successivi. Ad avviso della scrivente, la limitazione così imposta al datore non risponde al dettato della L. n. 604/1966, né all’art. 2106 c.c.. Invero, com’è noto, l’art. 2 della menzionata legge impone al datore di lavoro un obbligo di comunicazione scritta e di motivazione, la quale non può essere integrata con fatti nuovi e diversi, a garanzia del diritto di difesa del lavoratore. Il precetto di contestualità ed immodificabilità della motivazione è così imperativo da determinare l’inefficacia del recesso ove difettino tali presupposti. Dette condizioni non escludono, tuttavia, che il datore – avuta conoscenza di fatti differenti e sopravvenuti rispetto al primo procedimento disciplinare – possa formulare una seconda contestazione con susseguente adozione del provvedimento sanzionatorio e ciò a garanzia, nonché quale esplicazione, dell’eterodirezione riconosciuta al datore, funzionale all’organizzazione dell’impresa.
L’iniziale orientamento di legittimità è stato superato dalle successive pronunce del Supremo Collegio. In particolare, la sentenza 6 marzo 2008, n. 6055 ha affermato che nell’ipotesi di due licenziamenti susseguenti, intimati nell’area della tutela reale, il primo – se dichiarato illegittimo – non estingue il rapporto al momento in cui è stato intimato, ma determina “unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del ritenuto del datore di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento”. Tale condizione sospensiva, che determina la continuità e permanenza del rapporto, “giustifica l’irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l’effetto estintivo del rapporto”.
Sul solco di tale pronuncia ed in conformità con detto orientamento, la Cassazione, tramite successive statuizioni (ex multis Cass., Sez. Lav., 20 gennaio 2011, n. 1244; Cass., Sez. Lav., 4 gennaio 2013, n. 106), ha ribadito che il datore di lavoro che abbia già esercitato il potere disciplinare con l’applicazione di un provvedimento espulsivo per una determinata causa o motivo, può legittimamente adottare un secondo licenziamento fondato su una diversa ragione o motivazione, precisando che i due recessi costituiscono atti distinti e separati, idonei astrattamente a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto. Il secondo licenziamento, invero, risulta idoneo a produrre effetti solo ove il primo sia stato riconosciuto invalido ed inefficace.
Sul tema della successione dei provvedimenti espulsivi merita menzione, per dovere di completezza, la pronuncia della Suprema Corte, Sez. Lav, 23 gennaio 2024, n. 2274 (in WikiLabour.it), la quale ha precisato che la definizione stabile dell’assetto sostanziale del secondo licenziamento è strettamente legata alla formazione del giudicato sul primo licenziamento.
Gli Ermellini, in proposito, hanno chiarito che il secondo licenziamento non può essere giudizialmente dichiarato inefficace ove sul primo provvedimento espulsivo sia intervenuta una pronuncia provvisoria, ancora soggetta a rimedi impugnatori. Da ciò deriva – quindi – che il Giudice investito del secondo licenziamento deve pronunciarsi in merito alla legittimità o meno dello stesso, senza operare valutazioni aprioristiche sul nesso tra il primo e il secondo provvedimento. Ed infatti, tale nesso deve essere oggetto di disamina solo nel momento in cui il primo licenziamento è sorretto da pronuncia passata in giudicato.
Pertanto, solo laddove il primo licenziamento sia dichiarato valido ed efficace con pronuncia definitiva, sopravviene l’inefficacia del secondo licenziamento, con conseguente difetto di interesse ad agire.
Il fatto.
Un lavoratore – assunto nel 1996 con contratto a tempo pieno e indeterminato e con mansioni di autista di autobus – ha adito il Tribunale di Enna per vedere accertata l’illegittimità dei due distinti licenziamenti disciplinari irrogati dalla datrice: il primo comunicato con raccomandata del 12.6.2018 e il secondo con raccomandata del 12.7.2018, sulla base della contestazione disciplinare del 24.5.2018 per un fatto avvenuto il 17.5.2018.
Per quanto qui di interesse, mette conto evidenziare come la motivazione del primo licenziamento risieda nel fatto che il lavoratore, senza autorizzazione e per ragioni estranee all’attività lavorativa (sosta al bar), avrebbe interrotto ripetutamente il servizio di linea cui era adibito, adottando altresì ulteriori condotte inadempimenti, quali fumare e utilizzare il cellulare durante la guida.
Il secondo licenziamento, comunicato il 12.7.2018, è motivato dal fatto che il lavoratore, in data 17.5.2018, avrebbe inveito in pubblico contro i vertici aziendali ai quali rivolgeva offese e minacce di morte.
Il Tribunale di Enna, accogliendo parzialmente le domande del lavoratore, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del primo licenziamento (12.6.2018), condannando parte datoriale al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Quanto al secondo licenziamento, il Tribunale ha ritenuto, da un lato, che il lavoratore fosse carente di interesse ad impugnare l’atto, in quanto il rapporto lavorativo è stato dichiarato estinto a far data dal primo licenziamento, con conseguente impossibilità di ripristino; dall’altro che il secondo recesso è inefficace poiché i fatti contestati erano già noti al datore al momento dell’intimazione del primo licenziamento.
La Corte d’Appello di Caltanissetta, investita del reclamo proposto nell’ambito del rito Fornero, ritenendo che le condotte del primo licenziamento fossero punibili con sanzioni conservative, così come previsto dal R.D. n. 148/1931, applicabile al caso di specie, ha annullato il primo licenziamento del 12.6.2018 e condannato il datore a reintegrare il lavoratore, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, in misura non superiore alle 12 mensilità.
Quanto al secondo licenziamento, la Corte d’Appello ha ritenuto legittimo il recesso datoriale del 12.7.2018, stante la sussistenza della giusta causa.
In particolare, il Collegio ha preliminarmente disatteso la pronuncia di prime cure in punto di carenza di interesse all’impugnazione dell’atto ex art. 100 c.p.c., interesse che – ricorda la Corte – deve essere valutato ex ante, ossia al momento della proposizione della domanda e che nel caso di specie sussiste, stante l’ipotesi astratta – tradottasi poi nel concreto – di annullamento del primo licenziamento con reintegra nel posto di lavoro e conseguente reviviscenza del rapporto.
La Corte d’Appello ha poi precisato che il datore di lavoro può esercitare il potere disciplinare assumendo due distinti provvedimenti disciplinari a carattere espulsivo, purchè il secondo licenziamento verta su fatti nuovi e sopravvenuti, non conosciuti dal datore al momento della comunicazione del primo atto di recesso.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo – per quanto di interesse nella presente disamina – la violazione dell’art. 2 Legge n. 604/1966 e dell’art. 18 Legge n. 300/1970. In particolare, a mente del lavoratore, il secondo licenziamento sarebbe invalido poichè “fondato su fatti del 17.5.2018, contestati il 24.5.2018” e quindi noti alla datrice al momento dell’intimazione del primo licenziamento.
I principi espressi dalla Corte di cassazione.
La Suprema Corte, non condividendo la censura avanzata dal lavoratore, ha evidenziato che i fatti oggetto della seconda procedura sono idonei a motivare un diverso e nuovo provvedimento espulsivo quando cronologicamente successivi rispetto all’avvio del primo procedimento disciplinare, nonché “sganciati” dalle circostanze poste a fondamento del primo licenziamento.
In altri termini, i distinti atti disciplinari, ancorchè adottati in sequenza, sono singolarmente validi ed efficaci se rispondono ai criteri di autonomia e indipendenza.
Solo così è possibile garantire la legittimità del secondo provvedimento, il quale – tuttavia – risulta condizionato, nell’efficacia, alla eventuale dichiarazione di illegittimità del primo.
Ed infatti, nelle realtà assistite da tutela reale, il datore ben può intimare al lavoratore un secondo licenziamento per fatti e motivi diversi dal primo, purchè tale secondo provvedimento assuma carattere autonomo e distinto rispetto al primo, sicchè entrambi gli atti di recesso sono astrattamente idonei a determinare la risoluzione del rapporto. Tuttavia, il secondo licenziamento produce i relativi effetti solo laddove il primo venga riconosciuto invalido o inefficace, con conseguente pronuncia di reintegra nel posto di lavoro.
La condizione sospensiva appena menzionata non rappresenta l’unico aspetto rilevante ai fini della validità ed efficacia del secondo licenziamento. Invero, occorre che il secondo provvedimento espulsivo sia fondato su un motivo differente rispetto a quello che posto a fondamento del primo licenziamento, oltre che sopravvenuto, ossia ignoto al datore nel momento in cui ha avviato il primo procedimento disciplinare.
Solo così è garantito il rispetto dell’art. 2, Legge n. 604 del 1966, nella parte in cui dispone che il datore deve comunicare al lavoratore i motivi che hanno determinato il licenziamento.
Invero, l’esplicazione della ragione giustificatrice del recesso e la mancata indicazione, in essa, di fatti noti ma non contestati, determina la rinuncia implicita a far valere dette ulteriori ragioni di carattere disciplinare. Con la conseguenza che tali fatti, ancorchè astrattamente idonei a fondare il recesso, non possono essere posti alla base di un provvedimento disciplinare successivo poiché noti al datore fin dall’avvio del primo procedimento, con conseguente esaurimento del potere disciplinare datoriale.
La Suprema Corte ha, quindi, confermato la pronuncia resa dalla Corte distrettuale sulla legittimità del secondo recesso datoriale.