Licenziamento del disabile per impossibilità sopravvenuta: la mancata adozione di accomodamenti ragionevoli al fine della ricollocazione del dipendente rende nullo il recesso.

Tribunale di Roma, Sez. Lav., sentenza 26 novembre 2024 – Est. Casoli

di Michelangelo Salvagni

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Considerazioni preliminari.

La sentenza in commento appare di interesse poiché, a quanto consta, è uno dei primi provvedimenti di merito che si conforma al recente orientamento affermato da Cass. 22 maggio 2024, n. 14307. Quest’ultima ritiene nullo, in quanto discriminatorio, il licenziamento per impossibilità sopravvenuta in ragione dell’inidoneità alle mansioni del lavoratore disabile nel caso in cui il datore non abbia adottato gli accomodamenti ragionevoli per la ricollocazione del dipendente (sul tema, si rinvia a M. Salvagni, Nullità del licenziamento per ridotta capacità lavorativa del disabile: la violazione di accomodamenti ragionevoli configura una discriminazione diretta, in Riv. giur. lav., 2024, 4, II, Sezione Approfondimenti, Giurisprudenza on-line, n. 12/2024).

Occorre partire dalla “nuova prospettiva” che mette in luce la citata ordinanza di Corte di, ove gli accomodamenti ragionevoli assurgono a “chiave di volta” del meccanismo di tutela del lavoratore disabile.

Infatti, la violazione dell’obbligo di adottare gli accorgimenti ragionevoli, di derivazione euro-unitaria, si aggiunge ed è ontologicamente diverso dal c.d. obbligo di repêchagegravante sul datore di lavoro in materia di licenziamento del disabile per impossibilità sopravvenuta. Tale obbligo “rafforza” la tutela antidiscriminatoria nei confronti di tale soggetto, così come previsto ai sensi dell’art. 5 della Direttiva Comunitaria 2000/78/CE, nonché dell’art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216.

La Corte di cassazione, in realtà, già in passato aveva affrontato i principi in materia di tutela del disabile e di parità di trattamento, anche con riferimento alla tematica del licenziamento per sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore.  In tal caso, il precedente indirizzo di legittimità – che Cass. n. 14307/2024 pare ormai superare – sul versante delle tutele si era attestata sull’applicazione della tutela reale attenuata e non piena (in termini, si vedano: Cass. 19 marzo 2018, n. 6798 e Cass. 22 ottobre 2018, n. 26675, si veda infra; Cass. 12 gennaio 2017, n. 618, tutte consultabili in DeJure).

Da ultimo, la Suprema Corte, con ordinanza del 13 novembre 2023, n. 31471 (in LPO News del 27.11.2023, con nota di M. Salvagni), in un caso di licenziamento per inidoneità sopravvenuta di un dipendente disabile, aveva sostenuto che il datore di lavoro fosse obbligato ad adottare ogni accomodamento ragionevole per tutelare la prestazione lavorativa di tale soggetto, adibendolo anche a diverse mansioni, pure inferiori. Anche in tale vicenda, tuttavia, era stata applicata la tutela reale attenuata.

La novità che caratterizza il nuovo indirizzo della Suprema Corte del 2024 è proprio quella che, in caso di mancata adozione di soluzioni ragionevoli ai fini della ricollocazione del dipendente disabile divenuto inidoneo, il giudice deve applicare la tutela reintegratoria piena, ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. 20 maggio 1970, n. 300, come novellato dalla c.d. Riforma Fornero.

La sentenza del Tribunale di Roma, che qui si annota, si inserisce nel solco di questo nuovo orientamento di legittimità, in quanto applica, ai fini della tutela, i principi antidiscriminatori a salvaguardia del prestatore disabile divenuto inidoneo alle mansioni. 

Il fatto.

Un lavoratore adiva il Tribunale di Roma deducendo di aver lavorato alle dipendenze di una società cooperativa con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato e mansioni di autista addetto alla raccolta dei rifiuti nell’ambito di un appalto.

Il prestatore affermava, poi, di aver subito, nel corso del rapporto, un gravissimo infortunio sul lavoro a seguito del quale aveva riportato una invalidità permanente, con grave difficoltà deambulatoria.

Per quanto di interesse rispetto alle domande di giudizio, il ricorrente aveva altresì dedotto di essere stato assunto, a seguito di procedura di cambio appalto ex art. 6 del CCNL Ambientali 2016 e di aver svolto mansioni di “piazzalista”. In particolar modo, ai fini della propria ricollocazione, il lavoratore aveva esposto che tali compiti erano consistenti nella elaborazione e consegna delle tessere carburante e schede tecniche, turnazione di mezzi, supporto officina e rendicontazione guasti presso gli uffici adiacenti il piazzale di smistamento degli automezzi. Da ultimo, poi, il rapporto era transitato alle dipendenze della nuova società in ragione di un cambio appalto, continuando a svolgere le stesse mansioni in precedenza disimpegnate di piazzalista. Tuttavia, in data 30.5.2023, il lavoratore veniva sottoposto a visita del medico competente che attestava l’assoluta inidoneità alla mansione di formale inquadramento. In ragione di ciò, in data 3 luglio 2023 la società datrice di lavoro, dapprima, comunicava la sospensione cautelare dal servizio e, in seguito, intimava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per mancanza di mansioni compatibili con il suo stato di salute. Tanto esposto, il ricorrente assumeva la discriminatorietà del licenziamento intimato in ragione della sua disabilità, evitabile ricorrendo a modifiche organizzative e accomodamenti ragionevoli e, in ogni caso, la sua nullità per discriminazione in ragione del proprio stato di disabilità chiedendo la reintegrazione ex art 18, comma 1, L. 20 maggio 1970, n. 300.  Evidenziava comunque l’illegittimità del recesso essendo disponibili mansioni compatibili con il suo stato di salute.

Si costituiva la società convenuta, contestando l’avversa pretesa e deducendo che, al momento del cambio appalto, la società uscente aveva comunicato l’elenco dei dipendenti e le loro mansioni, qualificando il ricorrente come operaio di 3° livello, corrispondente alla mansione di autista – addetto alla raccolta. La società, a propria scriminante, deduceva inoltre che soltanto al momento della presa in servizio si era avveduta della grave difficoltà deambulatoria del ricorrente e, per tale motivo, considerato che l’ultimo giudizio del medico competente della società uscente attestava l’idoneità del ricorrente alla mansione, ancorché con limitazione per la movimentazione dei carichi e i lavori gravosi, sottoponeva il lavoratore ad una visita straordinaria con il medico competente. All’esito, veniva attestata l’inidoneità permanente alla mansione di autista addetto alla raccolta e del ricorrente e la società, non disponendo di altre mansioni rientranti nell’appalto o su altri servizi, anche di tipo amministrativo, si vedeva costretta a licenziarlo.

I principi espressi da Tribunale di Roma.

Il Tribunale di Roma, nell’affrontare la vicenda, stante la dedotta e non contestata disabilità del lavoratore, ripercorre, in maniera analitica, sia la normativa nazionale (art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. n. 216/2003) sia quella sovranazionale (art. 5, Direttiva 78/2000/CE, Convenzione ONU), in tema di nozione di discriminazione, di disabile nell’accezione euro-unitaria (tra tutte le sentenze Corte di giustizia 11 aprile 2013, HK Danmark) e di accomodamenti ragionevoli.

Il giudice, nella parte motiva, ricostruisce l’evoluzione giurisprudenziale della fattispecie, richiamando i principi già espressi dalla Corte di cassazione nelle ipotesi di licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione e obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli ai fini della salvaguardia del posto di lavoro e, in particolar modo, non solo Cass. n. 6947/2021, Cass. n. 15002/2023, Cass. n. 31471/2023, Cass. n. 10658/2024 ma anche le “soluzioni ragionevoli” indicate specificatamente dalla giurisprudenza di merito, tra cui, ex multis, C. App. Napoli 17 gennaio 2023, C. App. Genova, 9 luglio 2021, Trib. Ivrea 6 luglio 2018, Trib. Roma 8 maggio 2018.

Con riferimento al tema dell’indagine della discriminazione, del suo fattore oggettivo o meno, della conoscibilità della disabilità da parte del datore, secondo l’ordinaria diligenza e dell’onere della prova, la decisione in esame richiama espressamente gli ultimi arresti della Suprema Corte sul licenziamento discriminatorio del disabile per superamento del comporto, tra cui Cass. nn. 14316 e 14402, entrambe del 22 maggio 2024.

Tanto premesso in ordine ai principi di ordine generale e giurisprudenziale che connotano la vicenda, il Tribunale di Roma ha evidenziato come l’istruttoria abbia confermato che, a decorrere dall’infortunio occorso e sino all’ultimo cambio appalto, il ricorrente, pur essendo inquadrato come operaio addetto alla raccolta, in realtà abbia sempre svolto mansioni di “piazzalista”, organizzando i turni delle squadre e consegnando le schede carburante presso la sede da cui partono i mezzi.

Il giudice ha quindi ritenuto che il lavoratore ben avrebbe potuto essere adibito alle mansioni che aveva svolto in precedenza come “piazzalista”. Secondo il Tribunale, in ipotesi di licenziamento del lavoratore disabile divenuto inidoneo alla prestazione, all’onere di dimostrare i presupposti specifici richiesti per la legittimità del provvedimento datoriale si aggiunge quello – distinto – relativo all’adempimento dell’obbligo di accomodamento ragionevole. Ed invero, sempre a parere del giudice capitolino, sussiste, in capo al datore di lavoro, un obbligo generale di adottare tutte quelle misure – “accomodamenti ragionevoli” – atte ad evitare il licenziamento, anche quando queste incidano sull’organizzazione dell’azienda, salvo il limite dell’eventuale sproporzione degli oneri a carico dell’impresa. Solo dopo che il datore di lavoro abbia messo in atto tutti quei ragionevoli accomodamenti per adattare il posto di lavoro alla disabilità sofferta dal lavoratore, anche in termini di distribuzione degli orari di lavoro e di compiti e mansioni lavorative tra i lavoratori disponibili, al fine di garantirgli di espletare pienamente il proprio contributo professionale, potrà essere valutata la capacità o l’idoneità del lavoratore disabile di svolgere le funzioni essenziali di una data posizione lavorativa.

Al contrario, si sofferma ancora sul punto il Tribunale, nel momento in cui venisse valutata l’idoneità di un lavoratore disabile facendo riferimento esclusivo a mansioni lavorative fisse e rigide non suscettibili di alcun ragionevole e non sproporzionato accomodamento, in termini di ripartizione di orari di lavoro e di redistribuzione dei lavoratori in organico, concludendosi per l’inidoneità del lavoratore disabile a qualsiasi mansione, necessariamente si delinea una discriminazione diretta del lavoratore fondata sulla disabilità, vietata dalla Direttiva 2000/78/CE. Ne consegue che al datore di lavoro non basta provare che non fossero presenti in azienda posti disponibili in cui ricollocare il lavoratore, come si trattasse di un ordinario repêchage, così creando una sovrapposizione con la dimostrazione, comunque richiesta, circa l’impossibilità di adibire il disabile a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il suo stato di salute.

In definitiva, il Tribunale di Roma, alla luce di quanto emerso a seguito dell’istruttoria, ha ritenuto il licenziamento affetto da nullità in quanto ha determinato una discriminazione diretta in danno del lavoratore in ragione della sua disabilità.

Quanto alle conseguenze della nullità, al caso di specie ha trovato applicazione la disciplina di cui all’art. 18, comma 1, L. 20 maggio 1970, n. 300, in quanto espressamente fatta salva per il personale assunto a seguito di procedura di cambio appalto, ove fosse in servizio, come il ricorrente, alla data di applicazione del CCNL di settore del 2016 (art. 6, comma 16), prodotto da entrambe le parti e la cui applicabilità non è stata contestata.