Ripetizione dell’indebito retributivo, dipendenti pubblici e buona fede: un indirizzo giurisprudenziale in via di consolidamento

Cons. Stato, Sez. VII, 23 settembre 2024, n. 7712 – Pres. Contessa – Est. Noccelli

di Antonino Ripepi

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1. Premessa e inquadramento generale.
La sentenza in commento ha riaffermato il principio, ormai acquisito in giurisprudenza, secondo cui è da escludere che la buona fede del dipendente pubblico beneficiario di una erogazione indebita (art. 2033 c.c.) legittimi, di per sé, una soluti retentio del trattamento economico così ricevuto, potendo piuttosto rilevare ai soli fini del temperamento dell’onerosità del recupero operato dall’amministrazione.
In particolare, richiamando la recente sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale, il Consiglio di Stato ha ribadito che la (pur doverosa) considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali, non impone di «generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione».
Come noto, in un ordinamento improntato al principio di necessaria causalità delle attribuzioni patrimoniali, l’esecuzione di una prestazione che non sia retta da una legittima causa giustificativa obbliga chi l’ha ricevuta a restituirla, e tanto anche nei rapporti intrattenuti con le Pubbliche Amministrazioni.
In effetti, la disciplina codicistica dell’indebito subiva delle deroghe, in passato, allorché il solvens non fosse un soggetto privato ma un ente pubblico; si riteneva, infatti, che in caso di attribuzioni patrimoniali riconosciute ad un privato, queste, in presenza della buona fede di quest’ultimo, non fossero ripetibili, stante il particolare affidamento che il privato ripone nell’autorità del provvedimento da cui nasce l’indebito (G. Chiné, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, ult. ed., 973).
Tale impostazione è stata tuttavia superata, specie a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, settore statisticamente più interessato da ipotesi di indebito, ammettendo che quanto conseguito dal privato senza giusta causa debba essere restituito alla Pubblica Amministrazione. La buona fede dell’accipiens avrà dunque rilevanza solo nei termini di cui si è detto nei paragrafi precedenti; la giurisprudenza ha tuttavia affermato che le modalità di restituzione debbano essere tali da non incidere in misura eccessiva sulla situazione patrimoniale del privato (Cons. St., 12 maggio 2006, n. 2679; Cons. St., 2 agosto 2006, n. 4716).

2. I fatti di causa.
Nel caso di specie, un professore universitario chiedeva l’annullamento di un decreto rettoriale con cui era stata disposta la revoca dell’assegno ad personam di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957, con conseguente riconteggio della retribuzione e ripetizione delle somme corrisposte a tale titolo dal 1° febbraio 2014 al 31 agosto 2021, per oltre 150.000 euro.
Il ricorrente, in particolare, aveva dedotto:
– la violazione dell’art. 1, commi 458 e 459, della L. n. 147/2013 laddove intesi come dotati di efficacia “retroattiva impropria” anche nei confronti dei dipendenti pubblici transitati da altre amministrazioni, anteriormente al 2014, titolari di assegni riassorbibili ad personam;
– la violazione dei princìpi di affidamento, proporzionalità e buon andamento della P.A., nonché dei princìpi di buona fede e leale collaborazione;
– la violazione del principio di proporzionalità (art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
A fronte del rigetto del ricorso da parte del TAR Lazio, era stato proposto appello innanzi al Consiglio di Stato.

3. Il dibattito giurisprudenziale.
Si è discusso, in dottrina e giurisprudenza, circa i termini di applicabilità dell’art. 2033 c.c. all’ipotesi di prestazioni erogate da Enti pubblici, non solo di carattere previdenziale/assistenziale, delle quali venga chiesta la restituzione, spesso dopo rilevanti lassi temporali, in quanto erogate senza titolo (in dottrina, E. M. Mastinu, L’indebito retributivo nella disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Lav. pubb. amm., n. 2/2023; C. Scognamiglio, Affidamento, responsabilità precontrattuale, inesigibilità: una nuova prospettiva della clausola generale di buona fede, in Accademia, 2023, 1, 297 e ss.; G. Marino, Indebiti previdenziali e retributivi: il legittimo affidamento del percettore evita la restituzione delle somme?, in D&G, 2023, 16, 9; M. Chironi, Indebito previdenziale tra tutela dell’affidamento incolpevole e clausola generale di buona fede, in Labor, 12 luglio 2023; E. Bufano, A. Dinisi, Ripetizione dell’indebito e affidamento dell’accipiens. CEDU e diritto interno a confronto, in Pactum, n. 1/2022).
Secondo una prima ricostruzione, argomentata in dottrina e condivisa anche da una parte minoritaria della giurisprudenza (Cass. (ord.) 14 dicembre 2021, n. 40004), si dovrebbe dubitare della conformità a costituzione dell’art. 2033 c.c. laddove non valorizza adeguatamente la buona fede del percipiente al fine della restituzione della somma percepita, in considerazione dell’affidamento che questi potrebbe aver riposto sull’effettiva sussistenza del diritto a incassarla e del lasso di tempo intercorso dalla percezione.
Si tratta di cadenze argomentative che, in qualche modo, richiamano la Verwirkung, atteso che, pur non essendosi prescritto il diritto alla restituzione, lo stesso non sarebbe comunque azionabile in applicazione del canone di buona fede oggettiva.
Secondo altra impostazione, ai sensi dell’art. 2033 c.c., la buona fede dell’accipiens è rilevante solo ai fini della decorrenza dei frutti e degli interessi.
C. cost. 27 gennaio 2023, n. 8, infatti, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c., sollevate in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ha statuito che la pur doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali non impone di generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione.
Avvalendosi dell’argomento sistematico, la Corte ha sottolineato che le PP. AA. sono tenute ad avviare il recupero delle somme eventualmente indebitamente corrisposte senza distinguere fra le diverse tipologie di versamento,
tutte unificate dalla medesima ratio di buon andamento economico-finanziario e di parità di trattamento.La medesima pronuncia ha poi precisato che l’inesigibilità – anche parziale – della prestazione o l’eventuale rateizzazione della medesima potrebbero discendere da elementi quali l’affidamento legittimo ingenerato nel percipiente e le condizioni in cui versa quest’ultimo, entrambi discendenti dalla valorizzazione della clausola generale di buona fede.

4. La pronuncia in commento.
In tale quadro interviene il Consiglio di Stato che, con la sentenza in analisi, osserva come, al di fuori del raggio di disposizioni speciali che prevedono, nell’ordinamento italiano, l’irripetibilità dell’attribuzione erogata, la Corte costituzionale abbia già riaffermato, nella pronuncia prima esaminata, la piena applicabilità dell’art. 2033 c.c.
Per le Pubbliche Amministrazioni, infatti, la restituzione delle somme indebite erogate al dipendente costituisce operazione doverosa, oggetto, dunque, di attività vincolata, anche a prescindere dalla buona fede del dipendente accipiens.
Il solo temperamento al principio dell’ordinaria ripetibilità dell’indebito può essere rappresentato dalla regola per cui le modalità di recupero devono essere non eccessivamente onerose (in relazione alle condizioni di vita del debitore) e tali da consentire la duratura percezione di una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa.
Nella specie, è stato considerato legittimo il recupero delle somme, non rilevando la buona fede dell’appellante in considerazione del fatto, appunto, che il recupero è un atto dovuto che costituisce non rinunziabile espressione di una funzione pubblica vincolata, e, pertanto, in capo all’amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce una posizione soggettiva che deve essere qualificata come diritto soggettivo alla restituzione.

5. Conclusioni.
In definitiva, la pronuncia in commento appare confermativa di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 2033 c.c. trova senz’altro applicazione anche nelle fattispecie di indebito retributivo che veda coinvolti pubblici dipendenti, ma il canone della buona fede oggettiva impone un  approccio concreto teso a vagliare caso per caso la legittimità della pretesa restitutoria.
Infatti, la clausola generale in esame consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato nell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato.

Riferimenti normativi:
Art. 2033 c.c.

Giurisprudenza di riferimento:
Corte cost. 27 gennaio 2023, n. 8;
Cass. ord. 14 dicembre 2021, n. 40004;
Cons. St., 12 maggio 2006, n. 2679;
Cons. St., 2 agosto 2006, n. 4716.