Assenza ingiustificata e comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro nel c.d. “DDL Lavoro”

di Francesco Marasco

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Alcuni primi spunti di riflessione sulle connesse, possibili, responsabilità del datore di lavoro alla luce di un interessante precedente della Sezione Lavoro del Tribunale di Salerno (sentenza n. 2199/2024, Dr.ssa Petrosino).

1. – L’assenza ingiustificata del lavoratore può portare alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Come prevedibile, il c.d. “DDL Lavoro” (1264, approvato dal Senato della Repubblica Italiana in data 11 dicembre 2024) ha fatto già e ampiamente parlare di sé ben prima della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Plurimi sono i temi controversi, tra cui anche il nuovo regime di cessazione del rapporto di lavoro in caso di “assenza ingiustificata” del dipendente.

Recita così il nuovo comma 7-bis dell’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 (per come oggi approvato dal Senato), che sarà introdotto per effetto dell’art. 19 del citato “DDL Lavoro”: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.

2.- Ragioni e (alcune) implicazioni della scelta perorata nel c.d. “DDL Lavoro”.

Orbene, nel tentativo di arginare il ben noto fenomeno di “forzatura” ex parte lavoratore di un licenziamento a opera del datore di lavoro al fine di ottenere l’erogazione della NASpI (v. F. Capurro, La cessazione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore tra forme vincolate e comportamenti concludenti: un apparente cortocircuito, in Giustiziacivile.com), il neo coniato comma 7-bis cit. contempla una deroga al meccanismo di efficacia e ratifica telematica della risoluzione del rapporto di lavoro, per effetto di dimissioni o di risoluzione consensuale, previsto dal comma 1 dell’art. 26 cit.

In particolare, perché un rapporto di lavoro possa dichiararsi validamente risolto in caso di “assenza ingiustificata” a opera del lavoratore sarà sufficiente che il datore di lavoro invii una comunicazionealla sede territorialmente competente dell’ITL in cui venga motivato che il recesso è da ascriversi a una condotta unilateralmente posta in essere dal lavoratore (qual è quella, appunto, di non presentarsi più in servizio, mostrando disinteresse verso la prosecuzione del rapporto de quo); comunicazione che, apparentemente, dovrebbe costituire un documento diverso dai “moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it”, ossia i c.d. “Modelli UNILAV”, a loro volta già oggetto di trasmissione sempre alla sede dell’ITL (ex “Direzione territoriale del lavoro”, come riportato nel testo di legge) competente (cfr. art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015).

Si potrebbe, dunque, pensare che questa comunicazione debba consistere in una PEC o missiva di analogo tenore contenente, quantomeno, una contestazione disciplinare dell’assenza in questione. Ciò se non altro perché l’assenza ingiustificata costituisce una “colpevole condotta del prestatore di lavoro”, come tale ontologicamente sussumibile nel procedimento previsto dall’art. 7 della Legge n. 300/1970, giusta anche quanto rammentato dalla stragrande maggioranza dei contratti collettivi di lavoro (arg. ex Cass. civ., Sez. Lav., sentenza n. 22488 del 4 novembre 2016).

Sennonché, nel silenzio della norma, nulla vieterebbe che questa “comunicazione” coincida con la semplice trasmissione del modello UNILAV di cessazione del rapporto di lavoro già inoltrato dal datore di lavoro tramite i canali ufficiali ministeriali, in cui viene rappresentato che il rapporto medesimo si considera cessato per “dimissioni” del lavoratore (in difetto, allo stato attuale, di diciture telematiche calzanti rispetto all’ipotesi dell’assenza ingiustificata); in quest’ottica, la comunicazione assurgerebbe a una mera accompagnatoria di un atto già formalmente adottato dal datore di lavoro.

Laddove si volesse accedere a questa interpretazione, allora il controllo della ITL sulla “veridicità della comunicazione medesima potrebbe essere anche solo meramente formale, ovverosia arrestarsi alla verifica che l’assenza in commento sia stata ritualmente contestata al dipendente (appurando, ad esempio, la presenza di ricevute di consegna e/o di mancato recapito e simili) e che lo stesso non abbia reso alcun tipo di giustificazione (inoltrando, magari e in tal senso, specifica richiesta al datore di lavoro, la cui omessa e/o falsificata risposta potrebbe forse essere valutata come perseguibile ai sensi dell’art. 4 della Legge n. 628/1961).

Fatta salva s’intende, in quest’ultimo caso, l’eventualità che il lavoratore rassegni le proprie giustificazioni in un secondo momento, stante una “causa di forza maggiore” e la giuridica possibilità di coniugare tale disposizione con quelli che sono gli stringenti e inderogabili tempi, previsti dalla legge (art. 7, comma 5, St. lav.) o dalla contrattazione collettiva applicabile, entro cui un lavoratore può rassegnare proprie giustificazioni a pena di decadenza.

Insomma, non paiono mancare i motivi per ritenere che la norma in commento darà spazio a più dubbi di quanti non miri a risolverne. Uno su tutti, però, concerne il tipo di efficacia da dare al controllo di “veridicità” da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

3.- Prospettive de iure condendo sulla responsabilità datoriale in caso di comunicazione errata.

E però, senza con ciò voler precorrere troppo i tempi, e anzi confidando in un intervento risolutore dello stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro a mezzo nota e/o circolare da rendersi sul punto, si potrebbe immaginare che il controllo in commento rappresenti null’altro che una valutazione” compiuta dall’Ispettore designato, sulla scorta di un fatto (i.e.: una supposta assenza ingiustificata) riferito da altri (i.e.: il datore di lavoro), come tale liberamente apprezzabile in sede giudiziale (giusta quanto pacificamente ammesso dalla giurisprudenza di legittimità: cfr. Cass. civ., Sez. Lav., ordinanza del 3 febbraio 2022, n. 3413) nell’ipotesi in cui il lavoratore voglia impugnare il provvedimento risolutivo del rapporto di lavoro.

Una simile interpretazione consentirebbe, dunque, al lavoratore di contestare nel merito la legittimità dell’operato del proprio datore di lavoro, magari equiparando tale atto risolutivo alla stregua di un licenziamento ingiustificato e rivendicando così l’applicazione di ogni normativa di legge in termini di reintegrazione in servizio e risarcimento del danno. O, quantomeno e laddove siano decorsi i termini per impugnare tale atto risolutivo (scilicet: sul presupposto della sua equiparazione a un licenziamento), di far ricadere sul datore di lavoro le conseguenze inerenti all’indebita risoluzione del rapporto di lavoro erroneamente attribuita a una libera volontà del lavoratore; su tutte, il pagamento della NASpI.

Invero, che il datore di lavoro possa essere chiamato a pagare la NASpI al lavoratore, ove abbia effettuato un’errata comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, è un’eventualità tutt’altro che remota, come ci rammenta una recente sentenza del Tribunale di Salerno, in funzione di Giudice del Lavoro, avente n. 2199 e pubblicata in data 13 novembre 2024 (Dr.ssa Petrosino).

4.- [segue] … anche alla luce di un interessante precedente giurisprudenziale del Tribunale di Salerno. Per una possibile definizione di danno risarcibile.

La vicenda giudiziale oggetto della citata sentenza n. 2199/2024 della Sezione Lavoro del Tribunale di Salerno è abbastanza lineare e può essere così riassunta: pur essendo documentalmente provato che un lavoratore fosse stato assunto a tempo determinato e che tale contratto fosse poi giunto naturalmente a scadenza, interrompendosi così il rapporto di lavoro per tale unico motivo, anziché effettuare una comunicazione UNILAV attestante la cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine, il datore di lavoro – evidentemente errando – ne effettuava un’altra in cui riferiva che il medesimo rapporto si sarebbe interrotto per “dimissioni” del lavoratore. Così facendo, però, al lavoratore veniva inibita la percezione della NASpI, difettando la condizione di involontaria perdita della propria occupazione (cfr. art. 3, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 22/2015).

Da qui, il ricorso promosso dal lavoratore medesimo per sentir accertare e dichiarare l’illegittimità della condotta, quantomeno viziata da colpa, del datore di lavoro nel gestire le comunicazioni telematiche di cessazione del rapporto e la conseguente condanna a pagare esso stesso la NASpI cui avrebbe avuto diritto il lavoratore; ricorso, questo, che veniva accolto in tal senso da parte del Tribunale salernitano.

Si badi bene: la pronuncia in commento non contiene alcun automatismo tra erogazione della NASpI e comunicazione UNILAV errata, chiedendosi pur sempre al lavoratore di allegare e provare, secondo gli ordinari canoni civilistici coniati dagli artt. 1218 e ss. c.c.:

a) la genuinità del proprio stato di disoccupazione (i.e.: la perdita involontaria della propria precedente occupazione);

b) i requisiti (i.e.: contributivi e di anzianità lavorativa) e la sussistenza di una delle condizioni di erogazione della NASpI previste per legge (i.e.: sicché continueranno a essere escluse le ipotesi di risoluzione consensuale del lavoro e ogni altra frutto di una libera scelta del lavoratore);

c) il mancato reimpiego in altra attività, anche di natura autonoma, laddove si opti per il pagamento rateale della stessa (nella vicenda in esame, il datore di lavoro aveva cercato di difendersi dicendo che il dipendente, a seguito della cessazione del rapporto, aveva intrapreso un’attività commerciale di gestione di un b&b; circostanza che, peraltro, risultava non essere stata provata).

Ma è proprio la sempiterna applicazione di quegli ordinari canoni civilistici, in uno con l’auspicato “libero apprezzamento” del controllo di veridicità effettuato dall’ITL circa la cessazione del rapporto di lavoro in ragione di una o più assenze ingiustificate, che dovrebbe indurre i datori di lavoro, forti di questo nuovo e interessante istituto di legge, ad adottare ancora maggiori accortezze, onde evitare l’insorgere di quei contenziosi e annessi costi (non da ultimo, in punto di pagamento del c.d. “ticket NASpI”) che il Legislatore ha inteso, lato suo e forse non del tutto efficacemente, di deflazionare.