Mobbing e straining irrilevanti giuridicamente, stress lavorativo rilevante ai sensi dell’art. 2087 c.c.: la Cassazione mette un punto
di Domenico Tambasco
Al volgere del 2024, questa nuova ordinanza della Corte di cassazione (11 dicembre 2024, n. 31912) mette un punto definitivo alla diatriba tra mobbing, straining e stress lavorativo, ribadendo un principio già enunciato in altre pronunce: se da un lato, infatti, le nozioni di mobbing e straining sono giuridicamente irrilevanti avendo una valenza meramente sociologica, al contrario lo stress lavorativo e, più in generale, l’ambiente stressogeno ha un preciso referente normativo nell’art. 2087 c.c., in quanto configura una condotta datoriale illegittima, anche solo a titolo di colpa, fonte di danno alla salute dei lavoratori.
Facciamo un passo indietro, allo scopo di comprendere meglio l’enunciato degli Ermellini.
I fatti di causa
La vicenda in questione è simile a molte altre; ricorre in giudizio la dipendente di un Comune lamentando di aver subito dal proprio superiore gerarchico atti mobbizzanti. I Giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, rigettano le domande della ricorrente per la mancanza di sistematicità delle condotte denunciate (elemento oggettivo) nonché per l’assenza di un unitario disegno persecutorio (elemento soggettivo). Nulla di nuovo sotto il sole, varrebbe il caso di dire, come peraltro evidenziato dall’analisi recentemente condotta dall’OIL sulla giurisprudenza del lavoro italiana, in cui sono stati pubblicati una serie di dati molto eloquenti sulla scarsa tutela accordata alle domande di mobbing e, soprattutto, sulle effettive ragioni dei numerosi rigetti in sede giudiziale (cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un’analisi della giurisprudenza del lavoro italiana | International Labour Organization).
Ricorre quindi in Cassazione la lavoratrice, articolando un secondo motivo di impugnazione che si rivela decisivo: il giudice di merito avrebbe errato nel non aver riqualificato la domanda originaria, valutando “ragioni di responsabilità ulteriori rispetto al mobbing originariamente prospettato”.
Il che vuol dire, al di là delle formule solenni, censurare la sentenza di appello per non aver valutato se, al di là della denuncia di condotte dolosamente persecutorie, non fosse il caso di scrutinare la responsabilità datoriale anche nella – solo apparentemente – diversa prospettiva della colpevole inerzia nell’organizzazione dell’ambiente lavorativo. Chi ha seguito il cammino della giurisprudenza del lavoro nell’ultimo anno, immagina già la risposta.
Il recente orientamento della Corte di cassazione in tema di mobbing, straining e ambiente lavorativo stressogeno: la diversa qualificazione delle fattispecie
La Cassazione, in conformità ad un orientamento che si può ormai definire granitico (cfr., ex multis, Cass. 7 febbraio 2023, n. 3692; Cass., 19 gennaio 2024, n. 2084; Cass., 31 gennaio 2024, n. 2870; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3791; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3822; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3856; Cass., 16 febbraio 2024, n. 4279; Cass. 21 febbraio 2024, n. 4664; Cass. 26 febbraio 2024, n. 5061; Cass. 7 giugno 2024, n. 15957), scolpisce in modo netto le differenze tra fenomeni di natura sociologica e istituti aventi valenza giuridica, distinguendo tra:
– Mobbing e Straining, che sono nozioni di natura medico-legale, che non hanno autonoma rilevanza ai fini giuridici e che si configurano nella realtà fenomenica quando, rispettivamente, i comportamenti vessatori siano intenzionalmente (recte, “scientemente”) attuati nei confronti di un lavoratore, rispettivamente con una pluralità di azioni (mobbing) o con una sola condotta con effetti permanenti nel tempo (straining);
– Stress o ambiente lavorativo stressogeno, definizione giuridicamente rilevante che richiama la nozione costituzionalmente orientata dell’obbligo di prevenzione e protezione di cui all’art. 2087 c.c., nel cui ampio perimetro rientra anche l’obbligo di valutare e accertare l’eventuale responsabilità della condotta datoriale che“colposamente consenta il mantenersi di un ambiente di lavoro stressogeno fonte di danno alla salute” (cfr. Cass., 11 novembre 2022, n. 33428; analogamente, cfr. Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3791; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3822; Cass. 16 febbraio 2024, n. 4279).
Ecco che in quest’ultima categoria giuridica di natura “polifunzionale”, emergono “tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870; Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692; sia permesso rimandare a A. Rosiello, D. Tambasco, Lo SLC nella giurisprudenza di legittimità: nuovi sviluppi, in Igiene sic. lav., 2023, 5, 247 e ss.).
D’altro canto, che lo stress abbia una dignità giuridica che il mobbing e lo straining non possono pretendere, è desumibile – al di là dell’Accordo Quadro Europeo sullo Stress nei luoghi di lavoro, siglato l’8 ottobre 2004 e recepito in Italia attraverso l’accordo interconfederale del 9 giugno 2008 – dallo specifico referente normativo contenuto nel T.U. sulla salute e sicurezza sul lavoro, che cita espressamente lo stress lavoro-correlato come fattore di rischio di cui necessariamente, in ottica preventiva, il datore di lavoro deve tenere conto (art. 28, comma 1 e 1-bis, D.Lgs. n. 81/2008).
Le ricadute operative sono immediate, e vanno oltre la mera tassonomia: come infatti evidenziato in altra sede (sia permesso rimandare a D. Tambasco, La “rivoluzione silenziosa” della giurisprudenza, dal mobbing all’ambiente lavorativo stressogeno: l’inizio di un nuovo modo di giudicare?, in Labor, 16 novembre 2024), rilevanti sono le ripercussioni sul piano processuale, prime fra tutte – come anticipato – quelle inerenti alla riqualificazione della domanda introduttiva del giudizio.
I principi espressi da Cass. 11 dicembre 2024, n. 31912: l’ambiente lavorativo nocivo e stressogeno e la nuova definizione medico legale di “eristress”
Anche l’ordinanza in commento, dunque, si pone nel solco di quella giurisprudenza consolidata che, già da tempo, ha affermato il principio di diritto secondo cui, anche in presenza di una specifica domanda di mobbing da parte del ricorrente, il Giudice deve autonomamente procedere alla riqualificazione – eventualmente applicando anche norme di legge diverse da quelle invocate dalle parti e ferma restando l’identità dei fatti allegati – e valutare la violazione del dovere generale di tutela ex art. 2087 c.c. Violazione che, laddove accertata, fa scattare la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal prestatore (cfr. Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692, cit.; Cass., 30 novembre 2022, n. 35235, cit.; Cass. 15 novembre 2022, n. 33639, cit.; Cass. 11 novembre 2022, n. 33428, cit.).
Se in concreto, dunque, in un recente passato l’originaria domanda di mobbing poteva portare il giudice – soprattutto nei casi di demansionamento prolungato – alla riqualificazione nel diverso fenomeno dello straining (Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692, cit.), oggi in modo analogo al giudice viene attribuito il potere di riconfigurare le allegazioni del ricorrente, asserita vittima di persecuzioni lavorative, nei termini dell’esposizione a un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno: siamo pur sempre nel perimetro della violazione dei cogenti doveri di prevenzione e protezione dell’integrità psico-fisica e morale del prestatore di lavoro, definiti proprio dall’art. 2087 c.c.
Giova evidenziare un altro interessante passaggio della pronuncia in esame: in particolare, i giudici di legittimità evidenziano come concreta estrinsecazione dell’obbligo datoriale di tutelare e prevenire l’esposizione dei lavoratori rispetto ad ambienti lavorativi nocivi e stressogeni, anche “l’obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa dalla mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato”. Il che sottende, sebbene in modo alquanto ermetico, tutto il discorso già affrontato di recente dalla stessa Corte di cassazione in materia di conflittualità lavorativa, emerso nel salto dello scrutinio giudiziale all’orbita dell’analisi obiettiva dei fattori organizzativie ambientali.
Si fa riferimento, in particolare, al tema della responsabilità datoriale per il mantenimento di condizioni di lavoro stressogene derivanti dalla conflittualità interpersonale presente sul luogo di lavoro (cfr. Cass. 19 gennaio 2024, n. 2084, cit., par. 10, che parla anche di “contribuzione causale alla creazione di un ambiente logorante e determinativo di ansia”), qualificabile come inadempimento datoriale“ad obblighi di appropriatezzanellagestione del personale, già rilevante ai sensi dell’art. 2087 c.c.” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870, cit.).
Fenomeno, questo, recentemente “battezzato” dalla scienza psicologica con il nome di “eristress” (cfr. H. Ege, Eristress. Lo stress da conflittualità, Milano, 2024), che si differenzia dalle condotte persecutorie “classiche” (mobbing, straining, work stalking) perché, se in quest’ultimo caso opera una dinamica vessatoria unidirezionale (nella forma aggressore-vittima), nella conflittualità lavorativa in senso ampio non abbiamo né una vittima né un aggressore, bensì due (o anche più) contendenti che operano su un piano tendenzialmente paritario: gli screzi e le discussioni sono infatti reciproche, non unilaterali.
Non c’è che dire: l’anno si chiude positivamente, con un diritto vivente che manifesta, ora più che mai, una peculiare sensibilità agli aspetti organizzativi della prevenzione e protezione della salute e sicurezza lavorativa.