Danni da usura psico-fisica per mancata fruizione del riposo compensativo
di Annalisa Rosiello
L’organizzazione Mondiale della Sanità e l’Organizzazione Internazionale del lavoro dell’OMS, nel 2021, hanno pubblicato uno studio congiunto sulle malattie professionali e gli infortuni sul lavoro che ha convolto 194 nazioni. Da questa ricerca (condotta in un arco temporale di cinque anni, dal 2016 al 2000) risulta che circa settecentocinquantamila decessi per malattie cardiache e ictus e ben 23,26 milioni di invalidità e disabilità siano correlati allo svolgimento di attività lavorativa per una durata pari o superiore a 55 ore settimanali.
I dati sopra riportati inducono a riflettere sulla necessità di una corretta organizzazione del lavoro, inclusa quella in modalità da remoto (telelavoro, smart-working) e sulle responsabilità (anche omissive) delle aziende in tema di super-lavoro e di usura psico-fisica legati principalmente all’estensione dell’orario di lavoro oltre la “normale tollerabilità” e di lavoro nel settimo giorno senza riposo compensativo. E ciò anche se è il lavoratore ad assoggettarsi volontariamente a questo tipo di ritmi e non è l’azienda a richiederli.
Il lavoro nel settimo giorno senza riposo compensativo è il caso della sentenza del Tribunale di Salerno che commentiamo: Un dipendente comunale, responsabile di strutture sportive, ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla mancata fruizione dei riposi settimanali e compensativi, per il periodo compreso tra il 1° marzo 2016 e il 31 luglio 2022.
La pronuncia si fonda su un orientamento di giurisprudenza consolidato, che sancisce l’indisponibilità del diritto al riposo settimanale, secondo la previsione dell’art. 36 Cost. e in funzione del recupero delle energie psico-fisiche da parte del lavoratore.
Vengono in particolare ribaditi questi principi:
1. L’obbligo di tutela del datore di lavoro (art. 2087 c.c.) include la vigilanza sull’effettiva fruizione dei riposi settimanali, anche quando il lavoratore ricopra un ruolo apicale con autonomia gestionale e quindi si sottoponga volontariamente al lavoro nella giornata destinata al riposo.
2. La mancata fruizione dei riposi genera un danno presunto, qualificato come danno non patrimoniale da usura psico-fisica, distintamente risarcibile in aggiunta alle maggiorazioni contrattuali per il lavoro festivo.
3. La prescrizione quinquennalesi applica alle richieste di voci ordinarie o straordinarie della retribuzione, e non già alle richieste di risarcimento del danno patito per effetto di un’inadempienza contrattuale (nello specifico danno da usura psico-fisica), per il quale vale la regola generale della prescrizione nel termine ordinario decennale.
Con riguardo al primo tema, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c. e alla luce del disposto dell’art. 41, comma 2° della Costituzione (secondo cui l’iniziativa economica privata, pure libera, non può mai svolgersi in modo da recare danno alla salute e ai diritti fondamentali della persona), il datore di lavoro è inadempiente rispetto al dovere di protezione anche nel caso in cui la prestazione sia stata resa “spontaneamente” dal lavoratore e/o in assenza di doglianze (Cass. 27 gennaio 2022, n. 2403; Cass. 8 giugno 2017, n. 14313; Cass. 8 maggio 2014, n. 9945). La “spontaneità”, secondo questo orientamento giurisprudenziale, deve infatti essere sempre ricondotta al contesto di subordinazione socio-economica cui è sottoposto il lavoratore: il datore di lavoro, pertanto, non può invocare – per essere esente da responsabilità – di avere usufruito di una prestazione non richiesta al lavoratore.
Anche l’ignoranza delle particolari condizioni in cui sono state prestate le mansioni affidate al dipendente viene ritenuta dalla sentenza in commento irrilevante, conformemente all’orientamento consolidato di Cassazione (Cass. 27 gennaio 2022, n. 2403 cit.; Cass. 8 giugno 2017, n. 14313 cit.; Cass. 8 maggio 2014, n. 9945 cit.).
Così come, sempre nella pronuncia in commento, viene affermata l’irrilevanza circa la possibilità del lavoratore – nello specifico – di modulare autonomamente la propria prestazione. Conformemente all’orientamento giurisprudenziale consolidato, incombe sul datore il dovere di vigilanza: ai sensi dell’art. 2087 c.c. infatti, il datore di lavoro è tenuto non solo a predisporre strumenti idonei a garantire la tutela della salute, ma anche a verificarne l’effettiva attuazione; Il Giudice evidenzia che – anche se le disposizioni di servizio annuali del Comune assegnavano espressamente al dipendente la responsabilità di assicurare la fruizione dei riposi per sé e per gli altri – tuttavia, questa delega non poteva esimere l’ente pubblico dall’obbligo di prevenire il verificarsi di un rischio noto, quale l’accumulo di giornate lavorative consecutive senza riposo compensativo; deve poi escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa possa integrare un “concorso colposo” (così pronuncia in commento; v. anche Tambasco-Rosiello, Il risarcimento del danno da stress lavorativo. Nuove forme di tutela nell’era del lavoro digitale, Milano, 2024, 28 e ss.).
Con riguardo al secondo tema, ovvero quello del risarcimento del danno, la pronuncia si conforma all’orientamento della Corte di cassazione consolidato (tra le molte richiamate v. Cass. 15 luglio 2019, n. 18884 e Cass. 5 luglio 2024, n. 18390) secondo cui la violazione dei diritti garantiti dall’art. 36 Cost. genera “un danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore di lavoro ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno”. La mancata fruizione, peraltro nello specifico frequente e documentata, dei riposi settimanali (per 179 giorni), ha quindi configurato un’ipotesi di danno non patrimoniale nella componente esistenziale. Tale pregiudizio è stato dal Giudice risarcito in via equitativa, applicando come parametro il valore della retribuzione giornaliera (€ 77,58) moltiplicato per il numero di giorni non recuperati, con una detrazione delle maggiorazioni già percepite dal dipendente per il lavoro svolto nei giorni festivi.
Con riguardo al terzo tema, quello del termine prescrizionale, la sentenza in commento precisa, infine, che “la tutela richiesta non riguarda prestazioni periodiche o aventi “causa debendi” continuativa, bensì l’accertamento di un debito connesso e tuttavia di distinta natura (danno da usura psico-fisica provocato dal mancato godimento del riposo settimanale), per il quale vale la regola della prescrizione nel termine ordinario decennale.