Reato di omessa/falsa risposta alla richiesta di notizie dell’organo ispettivo: muta l’orientamento?
di Eugenio Erario Boccafurni*
* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza
La Cassazione, Sez. 3 Pen.,con la sentenza n. 39659 del 29.10.2024, ha chiarito che non può considerarsi penalmente responsabile colui che si dimostri negligente nell’assunzione delle informazioni richieste dall’organo ispettivo (nel caso di specie, la vicenda origina dalla richiesta di ispettori INPS).
La vexata quaestio è quella della natura del reato di cui all’art. 4 della L. n. 628/1961, il quale prevede che «Coloro che, legalmente richiesti dall’Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete, sono puniti con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda fino a lire un milione».
Secondo la pronuncia oggetto di nota, la condotta del datore che omette di rispondere – o che rende dichiarazioni mendaci – può essere punibile solo se è mossa dal dolo del reo: «il ricorrente sostanzialmente lamenta che, a fronte della contestazione di una condotta dolosa – l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete -, il giudice di primo grado lo aveva ritenuto responsabile di una grave negligenza nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda. La censura coglie nel segno, non essendo sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità, un atteggiamento di negligenza, seppur grave, nel recupero delle notizie da fornire all’organo ispettivo richiedente, quando la contestazione formulata dal pubblico ministero presupponga che le notizie siano state invece fornite e che lo siano state, “scientemente”, in forma errata ed incompleta».
Sennonché, tale sentenza, invero particolarmente ellittica nel suo iter ricostruttivo logico-giuridico, sembra non aver tenuto minimamente conto del proprio recente precedente in materia, ovvero la sentenza n. 5992 del 12.02.2024 (che originava da una richiesta di informazioni di personale ispettivo INL).
A febbraio 2024, infatti, i giudici di legittimità avevano ritenuto che risponde a titolo di colpa il datore di lavoro che per propria negligenza (mancata apertura della casella PEC) non aveva riscontrato la richiesta pervenuta dall’Ispettorato all’indirizzo PEC della società, risultante dal Registro delle imprese: «il reato ha natura di contravvenzione, onde rilevano sia il dolo che la colpa, che sono titoli soggettivi dell’imputazione dell’illecito alternativi e del tutto equiparabili, sicché anche la colpa rileva come titolo di integrazione del reato. Nel caso in disamina sussiste quantomeno la violazione del dovere di diligenza, essendo onere dell’amministratore accedere e riscontrare le comunicazioni inviate e ricevute alla società, e quantomeno fornire una giustificazione alla omessa esibizione della documentazione richiesta […] Al riguardo, il giudice di merito ha affermato che, a fronte di ripetute richieste e della duplice notifica effettuata sia via pec alla società che alla persona fisica presso l’indirizzo di residenza, il ricorrente nulla ha comunicato all’Ispettorato del Lavoro, neppure fornendo alcuna giustificazione in ordine alla impossibilità asserita di trasmettere la documentazione, in quanto custodita presso i magazzini di una società cui l’azienda era stata ceduta».
Alla luce di quanto precede, considerato il palese contrasto interpretativo venutosi a creare all’interno della Cassazione, si auspica un futuro intervento nomofilattico volto a far chiarezza sull’elemento soggettivo del reato in parola.