Il datore che rinuncia al preavviso lavorato non paga l’indennità sostitutiva al dimissionario
di Eugenio Erario Boccafurni*
* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza
Nessuna sorpresa della Suprema Corte, la quale, con l’ordinanza n. 6782 del 14 marzo 2024, in piena continuità con i propri precedenti, ha confermato che “in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.”.
Ebbene, della natura obbligatoria del preavviso, quale mero obbligo (accessorio e alternativo) dell’esercizio del recesso, è convinta la costante ed unanime giurisprudenza di legittimità (nel senso della efficacia obbligatoria del preavviso si vedano Cass. n. 15495/2008, n. 11740/2007, n. 21216/2009, n. 13959/2009, n. 22443/2010, n. 27294/2018, n. 27934/2021 e, da ultima, Cass. n. 1581/2023).
Ne consegue, come noto, che la parte recedente è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione a controparte dell’indennità (con immediato effetto risolutivo del recesso); viceversa, in capo alla parte non recedente si configurerebbe un diritto di credito dalla stessa liberamente rinunziabile.
Orbene, la pronuncia della Suprema Corte n. 27934/2021, citata nell’ordinanza oggetto di nota, aveva già affermato che allorquando una parte eserciti la facoltà di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, ancorché sia intenzionata a proseguire il rapporto lavorativo sino al termine del periodo di preavviso indicato nel CCNL, è facoltà della controparte decidere di rinunciare all’altrui prestazione lavorativa senza che sia obbligata alla corresponsione della relativa indennità.
In altri termini, ove il datore non recedente rinunzi al preavviso lavorato, nulla deve al lavoratore poiché alcun interesse giuridicamente qualificato è configurabile in favore della parte recedente: in caso di rinunzia datoriale all’altrui preavviso, pertanto, il lavoratore dimissionario non può né pretendere che il rapporto prosegua fino al termine del periodo di preavviso, né ottenere l’indennità sostitutiva, essendo il preavviso normativamente connesso all’ esclusivo interesse della parte non recedente.
Sennonché, tale stato di cose, che logicamente discende dall’anzidetta natura obbligatoria dell’istituto in parola, potrebbe variare qualora il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro disponga diversamente, prevedendo, ad esempio, espressamente il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva anche in caso di rinuncia al preavviso della parte non recedente ovvero la sua efficacia reale.
Quest’ultima eccezione, che solo incidenter tantum viene esaminata nella pronuncia n. 27934/2021, è oggetto di puntuale specificazione nella sentenza della Cass. n. 27294/2018, laddove si prevede che “tuttavia, il giudice di merito deve considerare l’eventuale diversa disciplina pattizia, come, nella specie, l’art. 35, comma 6, del c.c.n.l. dei Dirigenti Terziario Commercio, in base al quale il preavviso, anche se non lavorato, riveste efficacia reale, con la conseguenza che, durante tale periodo, si applicano le disposizioni relative ai trattamenti economici e previdenziali ed eventuali modifiche di legge o di contratto incidenti sui trattamenti retributivi posti a base dell’indennità sostitutiva (art. 2118, comma 2, c.c.) e continuano ad avere rilievo eventi sopravvenuti, quali la malattia” (cfr. Trib. di Roma n. 8127/2021 del 15 novembre 2021).