Corte costituzionale: legittima la disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dal Jobs Act

di Chiara Pulvirenti

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Con ordinanza del 16 aprile 2023, la Corte d’appello di Napoli, Sezione Lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 10 del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso che nel combinato disposto con l’art. 3, comma 1, dello stesso Decreto, con riferimento agli artt. 3, 10, 35, 76 e 117, primo comma, Cost.

Tali questioni sono state sollevate nel corso del giudizio di impugnazione di un licenziamento adottato il 1° luglio 2016 nei confronti di una lavoratrice assunta in data 1° maggio 2016, a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo ex artt. 4 e 24, comma 1, della Legge 23 luglio 1991, n. 223.

In particolare, il giudice a quo ha formulato tre articolate censure.

Con la prima, la Corte rimettente ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale nella parte in cui l’art. 10 singolarmente ed in combinato disposto con l’art. 3 , prima comma, del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23 avrebbe la modificato la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell’ambito di un licenziamento collettivo, pur in assenza di una specifica delega e, comunque, in contrasto con l’art. 24 CSE, in violazione dei principi e dei criteri direttivi della Legge delega.

Con la seconda censura, la Corte ha osservato che nella procedura di licenziamento collettivo coesistono rapporti di lavoro che, pur assoggettati alla medesima e simultanea analisi comparativa da estendersi all’intero complesso aziendale, sono caratterizzati da regimi sanzionatori disomogenei.

La terza questione invece riguarda la legittimità costituzionale del sistema forfettizzato di danno, laddove “irragionevolmente” rappresenterebbe un “affievolimento del ristoro del pregiudizio causato tanto da non garantire una sanzione efficace ed effettiva in caso di violazione dei criteri di scelta”, che derogherebbero ad un sistema sanzionatorio efficace e adeguato.

La prima censura non è ritenuta fondata. Al riguardo la Corte costituzionale ha ritenuto che non vi è alcuna violazione dell’art. 76 Cost. Ed infatti, durante l’approvazione della Legge n. 183 del 2014 al Senato è intervenuta la puntualizzazione secondo cui nei licenziamenti economici rientrassero anche quelli collettivi. Peraltro – secondo la Corte costituzionale – nel linguaggio comune per licenziamenti economici possono intendersi come tali sia individuali (per giustificato motivo oggettivo), sia collettivi (per riduzione di personale).

In merito al contrasto ravvisato dal giudice a quo con l’art. 24 CSE la Corte costituzionale ha ribadito da un lato l’autorevolezza delle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, previsto dalla CSE, organo ausiliario privo di natura giurisdizionale, dall’altro che queste non siano vincolanti per i giudici nazionali.

Parimenti, secondo la Corte non è fondata la seconda censura.

Al riguardo infatti, come noto, la Corte si era già espressa con riferimento ai licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo per cui non è stata ritenuta fondata la censura di violazione dell’art. 3 Cost.

Il diverso trattamento sanzionatorio modulato dal D.Lgs. n. 23 del 2015 per i licenziamenti individuali non viola il principio di uguaglianza, trovando il regime temporale un motivo non irragionevole nella finalità perseguita dal legislatore, “di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione” (art. 1, comma 7, della Legge n. 183 del 2014).

Infine, la Corte costituzionale non ha ritenuto fondata la terza questione, sollevata relativamente alla tutela indennitaria determinata con la previsione di un “tetto” massimo.

Sul punto, ribadisce la Corte costituzionale, il limite massimo di ventiquattro mensilità, ancor più dopo che il D.L. n. 87 del 2018, come convertito, lo ha elevato a trentasei mensilità, “non si pone in contrasto con il canone di necessaria adeguatezza del risarcimento, che richiede che il ristoro sia tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto”.

Sulla scorta di quanto sopra esposto, stante l’infondatezza di tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate, la disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dal D.Lgs. n. 23 del 2015 “Jobs Act” è legittima.