Se l’Ente bilaterale è privo di rappresentatività la certificazione dell’appalto “leggero” è inefficace
di Eugenio Erario Boccafurni*
* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza
Il Tribunale di Arezzo, con la sentenza del 1° marzo 2023, nel confermare l’ordinanza opposta emessa dall’ITL Arezzo – dopo ampia analisi testimoniale – ha ribadito taluni principi cardine in materia di somministrazione irregolare e pretesa sanzionatoria dell’Ispettorato:
– l’art. 75 del D.Lgs. n. 276/2003 concede alle parti la possibilità di certificare i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro, al fine di ridurre il contenzioso. Orbene, uno dei presupposti costitutivi dell’efficacia giuridica della certificazione invocata dall’opponente è la circostanza che l’Ente bilaterale presso la quale è costituita la commissione certificativa è stato costituito da O.S. “comparativamente più rappresentative”: <<poiché la validità della certificazione rappresenta un fatto impeditivo della pretesa sanzionatoria dell’ispettorato territoriale del lavoro, ricade sull’opponente, ex art. 2697 c.c., l’onere della prova circa la rappresentatività di ciascuna delle organizzazioni sindacali costitutrici dell’ente bilaterale […] con la conseguenza che, in difetto di tale prova, la certificazione del contratto di appalto deve ritenersi tamquam non esset e nessun effetto preclusivo della procedura di applicazione della sanzione amministrativa da parte dell’organo di vigilanza potrà ritenersi sussistenze (cfr. Trib. Trento 128/2020; Trib. Cosenza 2105/2020)>>;
– sulla distinzione tra appalti “pesanti” e “leggeri”, quest’ultimi sono quelli in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, senza necessità di impiegare mezzi importanti o materiali da parte dell’appaltatore. In tale tipologia di appalti è sufficiente, ai fini della liceità, che in capo all’appaltatore sussista effettiva gestione dei propri dipendenti; gestione che si concretizza nell’esercizio del potere organizzativi e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel rapporto (cfr. Cass. 30649/2028). <<In buona sostanza, dunque, è possibile che l’appaltatore metta a disposizione dell’appaltante la propria capacità organizzativa e direttiva dei lavoratori, ma si deve ritenere sussistente una somministrazione irregolare di lavoro tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa mantenendo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, l’assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione finalizzata al conseguimento di un risultato produttivo autonomo (cfr. Cass. 12807/2020)>>;
– l’art. 18, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 276/2003 individua espressamente il criterio che deve essere seguito per il calcolo della sanzione conseguente alla violazione dell’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003: tale criterio non risulta abrogato da quanto previsto dall’art. 1, comma 6, del D.Lgs. n. 8/2016.