La presunzione di subordinazione nel rapporto di lavoro domestico
di Eugenio Erario Boccafurni*
* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza
La Corte di Appello di Roma, con la pronuncia del 16.11.2023, ha riconosciuto ed accertato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato intercorso tra la ricorrente e i convenuti, con qualifica di collaboratrice domestica, part time, e con l’applicazione del CCNL per il Personale domestico non convivente: il giudice di seconde cure romano, attesa la difficoltà probatoria di un rapporto che “si rende tendenzialmente al riparo dallo sguardo di terzi estranei”, pone in rilievo la presunzione di etero-direzione allorquando vi sia lavoro domestico non connaturato da affectionis vel benevolentiae causa.
Di seguito lo stralcio più significativo in diritto:
«Però, una volta dimostrato che la D. lavorava con orari fissi e continuativi (mentre in memoria la R. aveva allegato la saltuarietà della sua presenza); che era la R. a darle direttive (cfr. interrogatorio formale); e che svolgeva una prestazione consistente, in pratica, nella mera messa a disposizione di energie lavorative e non nella produzione di un autonomo risultato, tale incompleta prova dell’esercizio dei poteri datoriali va considerata nel contesto degli indizi emersi e del tipo di prestazione dedotta nell’accordo delle parti nel senso di ritenere sostanzialmente dimostrata la subordinazione.
La stessa S.C. al riguardo (n. 17093/2017) sottolinea come l’affidamento ad altri soggetti di lavori di cura dell’abitazione o della persona, in assenza di un rapporto di “affezione o benevolenza”, sia intrinsecamente connaturato ad una prestazione continuativa ed eterodiretta, quantomeno tendenzialmente: è stato così affermato come “la ricorrenza nella specie della subordinazione sia stata correttamente desunta dalla Corte territoriale, in conformità con l’orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. sez. lav., 29.9.2015, n. 19304), in relazione alle caratteristiche oggettive della prestazione resa, concretantesi in un lavoro di cura, cui la subordinazione deve dirsi connaturata ove, come nel caso di specie, sia stata ritenuta, con valutazione qui neppure fatta oggetto di specifica impugnazione, la non riconducibilità della prestazione medesima ad altro rapporto istituito affectionis vel benevolentiae causa; ed è poi notoria la difficoltà di prova del concreto esercizio dei poteri datoriali in fattispecie, come il lavoro domestico, in cui la prestazione si rende tendenzialmente al riparto dallo sguardo di terzi estranei.».