Agente di commercio o genuino procacciatore di affari? Il punto della più recente giurisprudenza

di Eugenio Erario Boccafurni*

* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza

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In tema di differenza tra il contratto di agenzia e di procacciamento di affari, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8500/2023, del 02.10.2023, si è pronunciato in una fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo, contenente la richiesta di pagamento di contributi omessi afferenti alle posizioni previdenziali dei collaboratori della società opponente, i quali secondo le avverse progettazioni ispettive avevano prestato attività di agenzia, dal 2014 al 2018, e non potevano essere qualificati come procacciatori di affari.

Secondo il giudice capitolino, i distintivi del contatto di agenzia sono la continuità, la stabilità, la conclusione di contratti in una determinata zona, mentre il rapporto di procacciamento di affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e in via episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore, da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni.

La configurabilità del contratto di agenzia, inoltre, non trova ostacolo nel fatto che l’atto di conferimento non abbia individuato espressamente la zone in cui l’incarico deve essere espletato, ove tale indicazione si evinca dall’ambito territoriale nel quale l’agente opera: non è incompatibile la erogazione di compensi di esigua entità con il rapporto di agenzia mentre è incompatibile con il rapporto di procacciamento di affari la erogazione di compensi di rilevante entità, stante la sua natura occasionale e episodica.

Inoltre, «La corresponsione da parte del datore di acconti e saldi è incompatibile con il rapporto di procacciamento di affari, attestando di contro la stabilità e continuità dello stesso e quindi la esistenza di un contratto di agenzia».

La Corte d’Appello di Roma, pronunciatasi il 31.07.2023, ha chiarito che«Va aggiunto che il compenso era riconosciuto sugli affari “che abbiano avuto regolare esecuzione”, elemento che mal si attaglia alla figura del procacciatore il cui compenso è riconosciuto per la sola conclusione dell’affare a prescindere da quanto incasserà il preponente (cfr. la sentenza di questa Sezione n. 945/2022); che le fatture di ciascun preposto recavano numerazione in prevalenza progressiva, a denotare che tale era la principale entrata professionale del soggetto; che la preponente forniva ai collaboratori documentazione tecnica per lo svolgimento del loro incarico e moduli per la raccolta di ordini (circostanza questa che mal si concilia con l’occasionalità dell’incarico e depone ancora una volta per la sua stabilità). Quanto all’assenza della previsione di una zona specifica di attività, ricordato che qui si tratta di fornire la prova contraria ad un assunto assistito da un riconoscimento di debito, è noto che “la configurabilità del contratto di agenzia non trova ostacolo nel fatto che l’atto di conferimento dell’incarico non abbia designato espressamente e formalmente la zona nella quale l’incarico deve essere espletato, ove tale indicazione sia evincibile dal riferimento all’ambito territoriale nel quale le parti incontestabilmente operano” (ex plurimis Cass. n. 20322/2013); quanto alla durata annuale rinnovabile, di fatto si è trattato di rapporti intensi e pluriennali, come del resto garantito e reso possibile dal rinnovo automatico salvo disdetta da inoltrarsi almeno trenta giorni prima della scadenza».

Sempre la Corte d’Appello Roma, con la sentenza del 25.05.2023, ha precisato che: «come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, con affermazione che il Collegio condivide pienamente (sentenza 12776 del 2012), nel rapporto di agenzia – che si distingue dal rapporto di procacciatore d’affari, per la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente che, non limitandosi a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti promuove stabilmente la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale – le parti possono prevedere forme di compenso delle prestazioni dell’agente diverse dalla provvigione determinata in misura percentuale sull’importo degli affari conclusi, come ad esempio una somma fissa per ogni contratto concluso, od anche un minimo forfettario, o, come nel caso di specie, un fisso mensile. Quest’ultimo, quindi, diversamente da quanto opina l’appellante, non è indice negativo del rapporto di agenzia».

Ancora la Corte d’Appello Roma, con sentenza del 02.02.2023 ha fatto chiarezza sulla rilevanza della mancata iscrizione del presunto agente nello specifico ruolo: «Non osta al qualificazione del contratto di agenzia la dedotta mancata iscrizione del F. al ruolo degli agenti, essendo ormai da tempo consolidato il principio per cui “In tema di contratti di agenzia stipulati con soggetti non iscritti nel ruolo previsto dalla L. n. 204 del 1985, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenza 30 aprile 1988 (B. c. Y. SpA) ha affermato – in relazione alla Direttiva, inattuata nel nostro ordinamento, 18 febbraio 1986 n. 653 – che una normativa nazionale non può “subordinare la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo”; pertanto, in base ai principi generali sui rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, deve disapplicarsi la norma interna che subordina la validità del contratto all’iscrizione dell’agente nell’apposito ruolo, con l’ulteriore conseguenza che anche per tale agente ricorre l’obbligo di iscrizione all’E.” (Cass. n. 3914/2002). Con riguardo, poi, alla lamentata indicazione della zona l’appellante non considera che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, “La configurabilità del contratto di agenzia non trova ostacolo nel fatto che l’atto di conferimento dell’incarico non abbia designato espressamente e formalmente la zona nella quale l’incarico deve essere espletato, ove tale indicazione sia evincibile dal riferimento all’ambito territoriale nel quale le parti incontestabilmente operano” (ex plurimis Cass. n. 20322/2013). Nella specie, come chiaramente emerge anche dalle dichiarazioni scritte prodotte in atti dall’appellante, la zona era quantomeno quella di “Trieste”, dove aveva sede la stessa ditta individuale di P.C.».

Anche la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30667/2023, ha fatto il punto sui preminenti indici di distinzione tra gli istituti in parola: «La stabilità implica che l’incarico sia conferito per una serie indefinita di affari (Cass., sez. lav., 16 ottobre 1998, n. 10265) e segna il discrimine dell’agenzia rispetto alla fattispecie del mandato (Cass., sez. lav., 14 aprile 2023, n. 10046, con riferimento alle ripercussioni di tali differenze sulla sorte del contratto, nell’ipotesi di fallimento del preponente). Per effetto della conclusione di un contratto di agenzia, tra agente e preponente s’instaura “una non episodica collaborazione professionale autonoma”. Il risultato è a rischio dell’agente, che ha “l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo” (sentenza n. 2828 del 2016, cit., punto 2.1. dei Motivi della decisione). Diversamente si atteggia il rapporto del procacciatore d’affari, che si sostanzia “nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni”. La prestazione del procacciatore “è occasionale” e dunque “dipende esclusivamente dalla sua iniziativa”, attiene “a singoli affari determinati”, ha “durata limitata nel tempo” e si traduce nella “mera segnalazione di clienti” o nella “sporadica raccolta di ordini”, senza assurgere ad una “attività promozionale stabile di conclusione di contratti” (sentenza n. 2828 del 2016)».

Rilevante è, altresì, la pronuncia del Tribunale Pistoia che, con sentenza del 10.10.2022, ha fatto chiarezza circa il peculiare rapporto di subagenzia: «Orbene, la subagenzia, da giurisprudenza costante, si ritiene essere un caso particolare di contratto derivato (subcontratto), unilateralmente e funzionalmente collegato al contratto principale di agenzia, che ne è il necessario presupposto e ad esso si applica la disciplina del contratto principale, nei limiti consentiti o imposti dal collegamento funzionale. I contratti di agenzia e subagenzia, quindi pur avendo sostanzialmente un identico contenuto, si differenziano nettamente con riguardo alla persona del preponente che nel contratto di agenzia è l’impresa, mentre in quello di subagenzia è l’agente. Si configura quindi l’ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2049 comma 2 c.c., che ha carattere oggettivo (cfr. Cass. 18184/07; 16226/03) ed il cui fondamento è, da un lato, quello di porre a carico dell’impresa, come componente dei costi e dei rischi dell’attività economica, i danni causati da coloro della cui prestazione essa si avvale per il perseguimento delle sue finalità di profitto, dall’altro quello di tutelare l’affidamento incolpevole dei terzi, in presenza di elementi obiettivi, atti a giustificarne il convincimento della corrispondenza tra la situazione apparente e quella reale (cfr. Cass. 9027/09). Se, invero, come già più sopra accennato, la subagenzia costituisce un caso particolare di contratto derivato (subcontratto), unilateralmente e funzionalmente collegato al contratto principale di agenzia, che ne è il necessario presupposto, è evidente che ad esso si applicherà la disciplina del contratto principale (artt. 1742 – 1753 c.c.), nei limiti consentiti o imposti dal collegamento funzionale (Cass. 15 giugno 1994, n. 5795; Cass. 6 agosto 2004, n. 15190)».