Il lavoratore chiamato a testimoniare in un giudizio tra azienda e collega di lavoro non può essere sanzionato per le dichiarazioni rese
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2724 del 27 luglio 2023, ha affermato il principio secondo cui «Non è possibile ritenere legittimo il provvedimento col quale la società datrice di lavoro colpisca i testi (irrogando sanzioni e licenziamenti) che si vedano chiamati a rendere dichiarazioni testimoniali in sede di giudizio pendente tra la propria datrice ed altro collega di lavoro».
Il Giudice del Lavoro di Milano, con la sentenza citata, ha confermato l’ordinanza già resa in sede sommaria (rito cd. Fornero) dal medesimo Tribunale, dichiarando la nullità del licenziamento e condannando l’azienda che aveva prima contestato disciplinarmente e, dopo, sanzionato con il licenziamento un proprio dipendente a motivo del contenuto di una testimonianza resa in altra causa. Testimonianza del tutto non veritiera – secondo il datore di lavoro – e che aveva causato “grave nocumento” all’azienda datrice di lavoro.
L’impresa, in sostanza, si era determinata a licenziare il proprio dipendente a motivo del fatto che lo stesso – chiamato quale teste in un procedimento avviato da un collega contro la stessa datrice di lavoro – aveva reso delle dichiarazioni che il datore di lavoro riteneva false e dalle quali il Tribunale avrebbe potuto trarre elementi per motivare una sentenza “ingiusta nei confronti dell’azienda”.
Il giudice del lavoro meneghino, anche facendo proprie le considerazioni dello stesso Tribunale in fase sommaria, ha, però, ritenuto che il lavoratore che venga chiamato in qualità di teste in giudizio non possa rispondere disciplinarmente delle dichiarazioni rese, atteso che il ruolo del testimone nei procedimenti giudiziari si configura come un servizio civico obbligatorio.
In altri termini, la testimonianza resa da un lavoratore in una causa tra il proprio datore di lavoro ed un altro dipendente-collega non può riverberarsi in danno del teste stesso e ciò, stando alle motivazioni della sentenza, in quanto l’apertura alla sanzionabilità delle testimonianze minerebbe le fondamenta del diritto di qualsiasi lavoratore di ottenere tutela contro atti illegittimi del datore di lavoro. Qualora in simili casi si rischiasse di essere sanzionati, anche duramente, dalla propria azienda datrice di lavoro, quale dipendente potrebbe rendere liberamente le proprie testimonianze in giudizi contro la stessa?
La sentenza, nelle conclusioni, ha evidenziato che le dichiarazioni rese dal lavoratore, anche a prescindere dalla loro portata, non avrebbero potuto essere oggetto di procedimento disciplinare in quanto non inerenti al rapporto di lavoro e che, comunque, la loro eventuale falsità avrebbe potuto/dovuto essere eventualmente accertata solo in sede penale e non con decisione unilaterale dell’impresa.