Il danno biologico deve essere risarcito d’ufficio come “differenziale” anche in assenza di effettiva liquidazione INAIL*
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 31 gennaio 2023, ha anzitutto chiarito che lo stato patologico diagnosticato, la prima volta, a distanza di circa 18 mesi dall’inizio del lamentato demansionamento non è circostanza, di per sé idonea ad escludere la sussistenza del nesso causale “in quanto non è pensabile, infatti, che la patologia in un soggetto possa manifestarsi alla prima avversità quanto, piuttosto, è evidente che solo dopo un congruo periodo di tempo, non sempre quantificabile, l’interessato, in seguito ad una serie di comportamenti vessatori ben documentati, abbia cominciato a presentare i sintomi di una patologia psichica”.
Inoltre, per quanto attiene, poi, la ripartizione degli oneri probatori, il Giudice campano ha ricordato che sul lavoratore, che alleghi un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro (ai sensi dell’art. 2103 c.c.), incomba l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento (v. Cass. Sez. Lav. n. 4211 del 03/03/2016; Cass. n.15527 del 08/07/2014; Cass. n. 26477 del 19/10/2018 e Cass. Sez. Lav. n. 4766/2006).
Sicché si è inteso dar continuità ai principi per cui “costituiscono idonei elementi presuntivi dell’esistenza di un danno risarcibile la durata del demansionamento, l’entità dello stesso in relazione alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpita, la preclusione della crescita professionale, l’esito finale della dequalificazione e le altre circostanze del caso concreto (Cass. 19923 del 23/07/2019, Cass. Sez. Lav. n. 19778 del 19/09/2014; Cass. Sez. Lav. n. 22930 del 10/11/2015)” e “la valutazione dei pregiudizi subiti sia di natura personale che professionale può essere effettuata dal giudice alla stregua di un parametro equitativo (Cass. civ., sez. lav., 26/05/2004, n. 10157) rispetto al quale la retribuzione rappresenta di sicuro un parametro di riferimento, anche se certo non l’unico, di una liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 cc e 432 c.p.c”.
Ebbene, nel caso di specie, la parta datrice non ha dato prova dell’esatto adempimento dell’obbligo scaturente dall’art. 2103 c.c. in un caso di presunta sottrazione di mansioni e responsabilità dirigenziali al proprio dipendente.
Chiarito quanto precede, trattandosi di un danno di origine professionale, secondo il giudicante l’indennizzo deve essere liquidato in forma c.d. “differenziale”, ovvero previa decurtazione dell’indennizzo erogato dall’INAIL: il danno cd. differenziale, deve pertanto essere determinato anche nel caso in cui non vi sia stata una effettiva liquidazione dello stesso da parte dell’INAIL “in quanto l’art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, considerando, quindi, la liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale”.
In altri termini, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche nel caso in cui l’istituto assicuratore non abbia provveduto effettivamente all’indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda.
Operando diversamente, “il lavoratore percepirebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, in quanto, in caso di eventuale responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate (Cass. 27/08/2021, n. 23529)”.
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