Condotta antisindacale nel lavoro tramite piattaforma digitale
Il tribunale ordinario di Bologna con una sentenza di qualche giorno fa (12.01.2023 – Giud. Zompì) ha rigettato l’opposizione al decreto del 30 giugno 2021 promossa da Deliveroo Italy S.r.l. ex art. 28, comma 3 della L. n. 300/1970.
La condotta tenuta da Deliveroo sarebbe stata antisindacale sotto plurimi profili. Anzitutto, per aver sottovalutato la rappresentanza dei riders delle organizzazioni ricorrenti, negando il loro diritto a ricevere flussi informativi e ad avviare qualsiasi forma di consultazione. Inoltre, l’accordo sottoscritto da Ugl Rider aveva il dichiarato fine di impedire l’estensione ai riders della disciplina del lavoro subordinato e di neutralizzare il riconoscimento delle condizioni economiche previste dalla contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative che avrebbero consentito un maggiore compenso. L’associazione Ugl Rider veniva, peraltro, sostenuta illegittimamente da Deliveroo Italy S.r.l., dato che quest’ultima imponeva il contratto ledendo la libertà sindacale dei riders. Infatti, la comunicazione inviata da parte opponente testualmente recitava: “Se non firmerai il nuovo contratto di collaborazione entro il 2 novembre, a partire dal giorno 3 novembre non potrai più consegnare con Deliveroo poiché non sarà più conforme alla legge. Se non desideri continuare a consegnare con Deliveroo secondo i termini previsti dal CCNL, questa mail costituisce il preavviso formale della risoluzione del tuo attuale contratto che terminerà il giorno 2 novembre 2020”.
Il presupposto logico-giuridico risiede negli artt. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2015, e 47-quater, del D.Lgs. n. 81/2015 come modificato dal D.L. n. 101/2019 convertito in Legge 2 novembre 2019 n. 128, che demandano ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale la determinazione del compenso dei riders; in assenza di stipula del contratto di cui sopra, i lavoratori non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e gli si dovrà applicare almeno un compenso orario calcolato in base ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi nazioni di settori affini.
Nel caso in esame era accaduto che in data 17 luglio 2020, in vista della scadenza del termine previsto per la scadenza del nuovo art. 47-quater (20 novembre 2020), il Ministero del Lavoro convocava le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative (Cgil, Cisl e Uil unitamente a “Riders per i Diritti” che raggruppa i movimenti attivi dei rider e l’associazione Rider Union Bologna) e Assodelivery.
In data 15 settembre 2020 Assodelivery sottoscriveva un accordo con Ugl Rider ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), nonché art. 47-quater, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, cioè con finalità derogatoria della legge. Contestualmente, interrompeva bruscamente le trattative con le altre associazioni sindacali dei riders.
Successivamente, il 2 ottobre 2020 Deliveroo inviava a tutti i suoi riders la comunicazione, di cui sopra, di recesso condizionata all’adesione al contratto sottoscritto con Ugl Rider.
Ebbene di 9.633 rider attivi, circa 8.900 sottoscrivevano il nuovo contratto.
Ciò posto, Deliveroo Italy S.r.l., che voleva avvalersi dell’effetto derogatorio del contratto collettivo rispetto alla disciplina di legge, avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale effetto, ossia la maggiore rappresentatività a livello nazionale delle organizzazioni stipulanti.
Il giudicante ha ritenuto che l’onus probandi gravante su parte opponente non sia stato assolto e che, comunque, le prove acquisite in giudizio portavano ad escludere la maggiore rappresentatività comparata a livello nazionale in capo a Ugl Rider.
Quanto alla consistenza numerica dei suoi iscritti, infatti, nel corso dell’istruttoria era emerso che a fronte di circa 30.000 riders operanti sulle piattaforme iscritte a Assodelivery solo 500-600 di essi risultavano iscritti a Ugl Rider. Dalle ulteriori documentazioni acquisite in giudizio emergeva che l’organizzazione anzidetta era completamente sconosciuta al Ministero del Lavoro, che non aveva differenti sedi regionali o provinciali e che aveva sottoscritto un unico CCNL, quello in esame.
Diversamente, il giudice ha ritenuto ampiamente provata dalla documentazione allegata al ricorso la maggiore rappresentatività comparata a livello nazionale delle associazioni sindacali Nidil Cigil, Filg Cgil e Filcams Cigil di Bologna; desumibile, ad esempio, dalle diverse azioni giudiziari intraprese a tutela degli interessi dei riders, dalla partecipazione ai tavoli ministeriali e dalla promozione di azioni di autotutela nello specifico settore, nonché dalla conclusione di vari contratti collettivi (le stesse considerazioni sono state rilevate dal Tribunale di Firenze che ha ritenuto Ugl un sindacato di comodo – sent. n. 781/2021).
Sul punto va ricordato anche che la Corte di Cassazione (n. 4951/2019) ha affermato che l’art. 47-quater presuppone la sottoscrizione del contratto collettivo da parte di più organizzazioni sindacali per la parte dei lavoratori.
Sulla scorta di tali considerazioni, il giudice ha negato qualsivoglia effetto derogatorio al contratto collettivo sottoscritto nel settembre 2020 tra Assodelivery e UGL rider, ritenendolo quindi inidoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 47-quater, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015.
Inoltre, il giudicante constata anche la illegittimità e la antisindacalità della successiva condotta di Deliveroo, consistente nell’aver di fatto imposto ai suoi rider l’adesione a nuove condizioni contrattuali, conformi alle previsioni di un CCNL inidoneo a derogare la legge. A maggior ragione è stata considerata illegittima e antisindacale la cessazione del rapporto di lavoro per i lavoratori che rifiutavano le nuove condizioni contrattuali.
Tale ultimo assunto va giustificato alla luce dei principi affermati in giurisprudenza secondo cui non esiste nel nostro ordinamento un principio di inscindibilità tra iscrizione a una associazione datoriale e contratto collettivo applicabile (Cass. civ., Sez. Lav., 14 maggio 2003, n. 7465). Conseguentemente, il datore non ha un obbligo di applicazione diretta al rapporto della contrattazione collettiva di settore; anzi, se l’attività può essere disciplinata da diversi contratti collettivi, potrebbe liberamente scegliere a quale aderire in base a ragioni di convenienza (Cass. civ., Sez. Lav., 28 maggio 2004, n. 10353).
Parallelamente, il lavoratore ha la facoltà di dissentire dall’applicazione della disciplina, in quanto peggiorativa di altra e diversa disciplina più favorevole che potrebbe essere applicata in azienda (Cass. civ., Sez. Lav., 14 luglio 2014, n. 16089).
Sulla scorta di tali considerazioni il giudicante ha ritenuto la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro una palese discriminazione per motivi sindacali – dovendosi ritenere legittimo il rifiuto del lavoratore di sottoscrivere un contratto regolamentato da una disciplina concordata con una associazione sindacale diversa da quella di appartenenza.
Muovendo dalla sentenza esaminata è possibile svolgere alcune considerazioni. L’art. 28 della L. n. 300/70 non ha una natura esclusivamente processuale; essa, infatti, individua alcuni beni giuridici di rilevanza costituzionale (libertà ed attività sindacale e diritto di sciopero) e mira a reprimere, attraverso uno strumento processuale particolarmente efficace qualunque comportamento, non tassativamente individuato, che sia idoneo a ledere tali beni giuridici.
Alcune recenti vicende giudiziarie inducono, tuttavia, a mettere in dubbio il tasso di effettività della norma negli attuali scenari economico-produttivi; in particolare, le tendenze dei modelli odierni di organizzazione del lavoro sono evidenti nel lavoro tramite piattaforme digitali; ossia la frammentazione delle linee di produzione, l’estrema sostituibilità della manodopera, la mancanza di garanzie in merito alla quantità di lavoro disponibile e di conseguenza alla retribuzione e l’emersione di una sorta di concorrenza tra i lavoratori. Ciò crea tensioni nel mercato del lavoro e riduce la capacità dell’art. 28 St. lav. di salvaguardare l’azione sindacale.
La questione giuridica è quella di appurare l’applicabilità dell’art. 28 St. lav. al lavoro non subordinato. Va detto che la norma fa espresso riferimento al “datore di lavoro”; quindi, occorre capire se il riferimento letterale vada o meno inteso nel senso di una limitazione del raggio d’azione dello strumento processuale ai soli comportamenti implicanti un effetto limitativo dei diritti sindacali dei lavoratori subordinati.
Va premesso che l’azione ex art. 28 St. lav. è assegnata al sindacato per reprimere una condotta che comprime direttamente o indirettamente i beni giuridici alla cui protezione il sindacato ha specifico interesse (libertà sindacale, attività sindacale e diritto di sciopero), indipendentemente che l’eventuale provvedimento del giudice produca i suoi effetti sul sindacato ricorrente o su altri (C. cost. 24 marzo 1988, n. 334; Cass. 22 aprile 1992, n. 4839; Cass. 15 novembre 2017, n. 27115). Infatti, la titolarità dell’azione deriva dalla natura indivisibile dell’interesse collettivo originata dalla posizione che il sindacato ricopre nel processo produttivo. Peraltro, i fattorini inseriti nell’attività delle piattaforme digitali contribuiscono tutti a realizzare un servizio; conseguentemente, possiedono bisogni e interessi comuni, di cui uno o più sindacati potranno farsi portatori.
Coerentemente con tali premesse, l’affidamento al sindacato dello strumento processuale di garanzia degli interessi collettivi dei lavoratori non potrà dipendere dalla forma contrattuale prescelta dalle parti del rapporto. Escludere, quindi, che il sindacato abbia interesse ad agire a fronte di comportamenti che pregiudicano la regolarità dell’azione di tutela collettiva si pone in contrasto con la stessa ragion d’essere dell’art. 28 St. lav. di difesa dei diritti costituzionalmente rilevanti coinvolti nelle relazioni industriali, oltre che con lo spirito promozionale e di sostegno dell’azione sindacale dello Statuto dei lavoratori.
Ad ogni modo, va infine detto che l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, come novellato dal Decreto Legge 3 settembre 2019, n. 101, convertito con modifiche nella Legge 2 novembre 2019, n. 128, non sembra lasciare dubbi sull’applicabilità dell’art. 28 St. lav.
Anche la Cass. nella pronuncia n. 1663/2020 ha chiarito che la nuova norma ha una funzione sia di prevenzione sia rimediale. La scelta legislativa avrebbe l’evidente obiettivo di assicurare al lavoratore, che si trova in una zona grigia tra autonomia e subordinazione, la stessa tutela di cui gode il lavoratore subordinato.