Stato di malattia e lavoro presso l’attività di ristorazione familiare: legittimo il licenziamento per giusta causa
Il Tribunale di Foggia, con ordinanza resa all’esito della fase sommaria di un giudizio “Fornero”, in data 16 dicembre 2022, ha dichiarato legittimo il licenziamento di un lavoratore che, assente per malattia, aveva svolto attività lavorativa in un esercizio commerciale gestito da un parente della moglie.
Dell’attività lavorativa in costanza di malattia l’azienda resistente aveva allegato ampia prova fotografica ottenuta avvalendosi di un’agenzia investigativa: da questo punto di vista, richiamando il prevalente orientamento giurisprudenziale, l’accertamento investigativo del datore di lavoro non si pone in contrasto con agli artt. nn. 5 ed 8 della L. n. 300/1970 “qualora abbiano ad oggetto fatti rilevanti al fine di valutare l’attitudine professionale del dipendente, nella cui sfera può farsi rientrare anche, come nel caso di specie, la condizione di malattia o di inidoneità fisica del lavoratore”.
In particolare, secondo il Giudice, «il ricorrente indossando la felpa con il logo del pub, servendo ai tavoli, prendendo le ordinazioni, incassando il dovuto abbia di fatto svolto attività lavorativa, anche se a titolo non oneroso, a favore dello zio della moglie a “corto di personale”, raggiungendo il pub anche a bordo di un monopattino elettrico in giorni di novembre e di sera, abbia assunto un comportamento incompatibile con lo stato di malattia denunciato “febbre con vomito”».
Prosegue il Magistrato, “Nella comparazione tra il diritto personalissimo alla salute e l’interesse dell’impresa prevale sicuramente il diritto alla salute, ma gli strumenti normativi ed i benefici economici che assistono il lavoratore sono esclusivamente funzionalizzati al recupero dell’integrità fisica, per consentire la ripresa dell’attività lavorativa nel più breve tempo possibile. Devono essere quindi esaminati con rigore quei comportamenti che possono tradursi in un ritardo del recupero fisico del lavoratore. In sostanza, il dipendente malato deve fare tutto il possibile per guarire presto, ma soprattutto non deve mettere in atto comportamenti – siano essi lavorativi o di svago e divertimento – anche solo potenzialmente idonei a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio. secondo un giudizio prognostico ex ante che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto, sia astrattamente idonea a determinare un prolungamento della malattia (sul punto Cass. 17.7.1991 n. 7915; Cass. Sez. Lav. 3.12.2002 n. 17128)”.
Sicché, lo stato di malattia certificato da “febbre e vomito” é stato ritenuto incompatibile con l’attività lavorativa svolta in ore serali (per tre giorni consecutivi, dalle ore 19 alle ore 23,00, del rigido mese di novembre), ancorché essa fosse stata svolta al fine di colmare la contingente grave carenza di personale addetto all’impresa di famiglia.
Inoltre, in maniera adesiva rispetto agli arresti giurisprudenziali prevalenti, il giudicante ha ricordato come “in linea di principio, non sussista per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare, durante tale assenza, un’attività lavorativa in favore di terzi, purché questa non evidenzi una simulazione di infermità, ovvero importi violazione del divieto di concorrenza, ovvero ancora, compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore d’opera”.
In definitive, dunque, il licenziamento per giusta causa, di colui che è affetto da “febbre e vomito”, riposa sulla “scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”, dal momento che nulla osta all’attività lavorativa svolta fuori dal proprio orario di lavoro.