Ai fini dell’intervento del Fondo di Garanzia, non è opponibile all’INPS l’accordo derogatorio dell’art. 2112 c.c. stipulato al di fuori delle ipotesi regolate dall’art. 47 commi 4-bis e 5 L. n. 428/1990
Con la recente sentenza n. 538/2022 pubblicata il 03 giugno 2022, la Corte di Appello di Palermo, sezione lavoro, in riforma della sentenza di primo grado in un caso di negato intervento del Fondo di Garanzia, ha stabilito che un accordo che escluda la responsabilità solidale dell’impresa cessionaria per le quote di TFR maturate in epoca anteriore al trasferimento d’azienda non è efficace nei confronti dell’INPS se si pone al di fuori delle ipotesi derogatorie dell’art. 2112 c.c. previste dagli artt. 47 commi 4 bis e 5 L. n. 428/1990, in conformità alle direttive comunitarie ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La statuizione della Corte territoriale palermitana segna un evidente punto di rottura rispetto al diverso orientamento ampiamente invalso nelle aule di giustizia del Tribunale del capoluogo siciliano propenso, invece, ad ammettere l’intervento del Fondo di Garanzia dell’INPS nelle vicende circolatorie d’azienda in crisi nel caso in cui sia stato stipulato un accordo in deroga all’art. 2112 c.c., ancorché preesistente all’accertamento dello stato d’insolvenza o alla sottoposizione alle procedure concorsuali dell’impresa cedente (cfr. a titolo indicativo: Tribunale di Palermo, sez. lav., sentenze n. 2181 del 29 maggio 2019, n. 1559 dell’11 giugno 2020; più di recente, cfr. Tribunale di Palermo, sentenza n. 3491/2021 del 29 novembre 2021 che costituisce uno degli ultimi approdi, in termini temporali, del surriferito indirizzo di merito e, peraltro, uno dei più autorevoli in quanto adottato dal Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale palermitano).
Nel caso in esame, anche la sentenza appellata dall’INPS (cfr. Tribunale di Palermo, sentenza n. 1020 del 9 marzo 2021, in Lavoro e prev. oggi, 2021, 9-10, 636 e ss. con nota di M. R. Megna, Tutela del credito di TFR, intervento del Fondo di garanzia e vicende circolatorie: spunti di riflessione a partire da una recente pronuncia del Tribunale palermitano) si poneva nel solco del citato orientamento territoriale favorevole al lavoratore in considerazione delle necessità di tutela di quest’ultimo in occasione di vicende circolatorie riguardanti imprese che, benché di fatto in crisi, formalmente non fossero state dichiarate fallite o sottoposte ad altre procedure concorsuali prima della stipula degli accordi derogatori di cui all’art. 47 commi 4-bis e 5 L. n. 428/1990.
Accogliendo la tesi dell’INPS, che aveva impugnato la sentenza di prime cure, i Giudici dell’appello mostrano di accedere ad una rigorosa interpretazione letterale della legislazione in materia, in coerenza con i dettami normativi comunitari e gli indirizzi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. È interessante notare alcuni passaggi del ragionamento della Corte palermitana, la cui decisione si allinea ai precedenti della giurisprudenza di legittimità in tema di natura e funzioni del Fondo di Garanzia (cfr. Cass., Sez. VI, ordinanza 9 giugno 2014, n. 12971; Cass., Sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376; Cass., Sez. Lav., 19 luglio 2018, n. 19277; Cass., Sez. VI, 22 dicembre 2016, n. 26819). Secondo i Giudici d’appello, l’art. 2 della L. n. 297/1982 e l’art. 2 del D.Lgs. n. 82/1990 si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui il TFR diviene esigibile e, quindi, alla cessazione del rapporto di lavoro. In caso di trasferimento d’azienda, invece, tale presupposto non si riscontra perché il rapporto lavorativo non si estingue, ma continua con l’impresa cessionaria. Di conseguenza, ad avviso della Corte territoriale, non è possibile azionare il Fondo di Garanzia se ad essere insolvente è l’impresa cedente e non l’impresa cessionaria: poiché infatti il TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il credito maturato dal lavoratore fino alla data del trasferimento presso l’impresa cedente non vincola l’INPS, che resta estraneo alla procedura.
A differenza del Tribunale palermitano, che non ritiene applicabili tali principi giurisprudenziali alle fattispecie – come quella in esame – in cui la responsabilità dell’impresa cessionaria sia venuta meno in forza di un accordo ex art. 47 commi 4-bis e 5 L. n. 428/1990, di deroga all’art. 2112 c.c., la Corte d’Appello conclude invece nel senso che l’esistenza di un siffatto accordo non è efficace per l’INPS laddove sia stato stipulato al di fuori delle ipotesi previste dalla legge surriferita. A tal riguardo, nel sottolineare la diversità delle due fattispecie derogatorie e richiamandosi integralmente ad una precedente pronuncia di legittimità (Cass. n. 10414/2020) – considerato che il comma 4-bis riguarda i trasferimenti d’azienda nell’ambito di procedure non liquidative, mentre il comma 5 presuppone la cessazione dell’attività d’impresa – la Corte territoriale rileva come, nel caso di specie, manchino i requisiti cumulativi fissati dal comma 5, non risultando l’impresa cedente coinvolta in una procedura concorsuale liquidativa alla data della cessione d’azienda, e dal comma 4-bis, e ciò “per un’immanente ragione lessicale” perché, alla data del trasferimento, la cedente non versava in una situazione di “crisi aziendale conclamata”. Secondo i Giudici del secondo grado, il rigido iter cronologico di cui all’art. 47, nel senso di subordinare la validità ed efficacia degli accordi in deroga all’art. 2112 c.c. alla preventiva declaratoria di fallimento o altra procedura concorsuale dell’impresa cedente, è “il frutto di una precisa e consapevole scelta del legislatore” per sottoporre tali operazioni – proprio “perché potenzialmente lesive del fondamentale diritto di ogni lavoratore a non soffrire alcun pregiudizio economico e giuridico” – al costante controllo di un organo super partes (il Curatore fallimentare o l’Amministratore straordinario, quando lo stato d’insolvenza sia stato già dichiarato dall’Autorità giudiziaria), o almeno alla preliminare valutazione della competente autorità pubblica (CIPI, CIPE o Ministero di riferimento, in caso di gravi crisi non comportanti l’apertura di procedure concorsuali).
Nella dichiarata scelta di aderire ad una opzione ermeneutica che privilegi il significato conforme al diritto dell’Unione e alla giurisprudenza della CGUE, nonché la coerenza logico-sistematica e la voluntas legis, la Corte di Appello ritiene doveroso adottare una lettura restrittiva delle ipotesi derogatorie al regime di tutela dei lavoratori in determinati casi di trasferimento d’azienda, posto che si scostano dall’obiettivo principale della Direttiva n. 2001/23/CE di tutela dei lavoratori coinvolti in tali vicende.
A supporto di tale interpretazione restrittiva, la Corte palermitana richiama anche l’art. 368 comma 4 lett. b) del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (c.d. Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza), all’epoca dei fatti non ancora entrato in vigore. Da un lato, infatti, i Giudici dell’appello escludono che la vicenda circolatoria in oggetto possa essere riconducibile alle fattispecie regolate dai novellati commi 4-bis e 5 del citato art. 47; dall’altro, precisano comunque che anche tale novella legislativa presuppone, per l’intervento del Fondo di Garanzia, l’avvio delle procedure concorsuali nei confronti dell’impresa cedente. Nel caso di specie, invece, quest’ultima non era stata ancora sottoposta ad una procedura concorsuale né alla data di stipulazione dell’accordo derogatorio, né al momento del trasferimento d’azienda. Da tali premesse deriva la convinzione che l’accordo collettivo, con cui si esclude la responsabilità solidale dell’impresa cessionaria per le quote di TFR maturate prima del trasferimento, non è sussumibile nelle ipotesi legali derogatorie dell’art. 2112 c.c. e che, venendo a mancare “uno dei requisiti indefettibili per l’applicazione dell’art. 2 L. 297/82, cioè l’insolvenza dell’impresa cessionaria”, tale accordo non possa essere efficace nei confronti dell’INPS, “atteso che opinare in contrario significa azionare il Fondo quando lo scopo solidaristico che lo ispira non sussiste”.
Benché la Corte d’Appello di Palermo, nel prediligere una interpretazione restrittiva e rigorosamente ancorata al dato normativo e alla coerenza logico-sistematica, abbia voluto proteggere gli interessi del lavoratore evitando che situazioni del genere possano privarlo dei propri diritti riconosciutigli dalla normativa nazionale ed europea, in pratica tuttavia lascia il lavoratore privo di un’importante garanzia del suo credito di TFR, negando in tali casi l’intervento del Fondo di Garanzia dell’INPS. Sotto tale profilo, piuttosto, appare evidente che permane un vuoto di tutela tutte le volte in cui un accordo collettivo in deroga sia stato comunque stipulato, ancorché al di fuori delle ipotesi legali previste dall’art. 47. Quid iuris, dunque, e quali tutele sono riconosciute ai lavoratori coinvolti in una simile operazione circolatoria? A fronte di tali criticità, è ben legittimo domandarsi se tale ricostruzione ermeneutica possa davvero rappresentare l’ottimale soluzione di bilanciamento di interessi contrapposti all’interno del più ampio principio di tutela del lavoratore cui è improntato l’ordinamento giuslavoristico.
Si suppone quindi che l’imponente contenzioso in materia non tarderà ad approdare nelle sedi della Suprema Corte di legittimità, alla quale competerà decidere – in ultima istanza – sulle sorti dei diritti di migliaia di lavoratori tutti coinvolti, volenti o nolenti, in una siffatta complessa vicenda circolatoria conclusasi – è vero – con la salvezza di tantissimi posti di lavoro, ma anche – ed è altrettanto vero – con il palese sacrificio dei diritti retributivi e del TFR, in violazione pertanto delle finalità di protezione poste dalle direttive comunitarie.