La Suprema Corte sull’art. 18 comma 4 S.L.: revirement della giurisprudenza sul licenziamento disciplinare e sulla reintegra anche per condotte non tipizzate dal CCNL.
La recente sentenza di Cassazione n. 11665 del 11 aprile 2022, risolve la querelle sull’interpretazione dell’art 18, comma 4, con riferimento al contrasto giurisprudenziale formatosi sulla tematica della reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. Secondo il prevalente orientamento formatosi in materia sino alla sentenza in commento, al giudice non era consentito ricondurre il comportamento oggetto di addebito disciplinare ad una sanzione conservativa se questa non fosse espressamente stabilita come tale dalle parti sociali o dai codici disciplinari. La questione è stata oggetto di dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, anche in ragione del fatto che l’indirizzo interpretativo delle cosiddette sentenze di maggio 2019 (la definizione è di A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza di Cassazione, in Dir. rel. ind., 2019, 946), che appariva decisamente restrittivo e sembrava ormai consolidato, vietava l’interpretazione estensiva o analogica delle sanzioni conservative se non espressamente tipizzate. Tale assunto muoveva dal presupposto che la ratio legis sottesa all’art. 18 S.L., comma 4, come riformato dalla legge c.d. Fornero, prevede la tutela reintegratoria solo quale ipotesi eccezionale rispetto a quella indennitaria (sul punto: Cass., 9.5.2019, n. 12365, nonché nello stesso senso: Cass., 23.5.2019, n. 14063 e Cass., 28.5.2019, n. 14500, pubblicate tutte in Lavoro e prev. oggi, 2019, 11-12, 694, con nota critica di M. Salvagni, Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. In merito, sempre in senso critico rispetto all’orientamento del 2019, si segnala anche A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, in Quest. giust., 2019).
Successivamente, a due anni di distanza, sempre a maggio, la stessa Suprema Corte, sesta sezione, con ordinanza interlocutoria n. 14777, depositata il 27 maggio 2021, ha messo in discussione i principi espressi dal precedente orientamento di legittimità del 2019, evidenziando l’erroneità dei presupposti logici e normativi posti alle base dello stesso, con ampi richiami a principi eurounitari e della Corte costituzionale (pubblicata in Lavoro e prev. oggi, 2021, n. 9-10, 671, con nota di M. Salvagni, Cassazione n. 14777 del 27 maggio 2021: La reintegra solo per condotte conservative tipizzate collettivamente è irragionevole e crea disparità di trattamento). La sentenza in annotazione, stante la rimessione per contrasto di giurisprudenza sul punto alla sesta sezione filtro, aderisce alla tesi prospettata dalla citata ordinanza cosiddetta Ponterio, affermando, condividendo così quanto osservato da tale provvedimento interlocutorio, che quella della classificazione e catalogazione delle condotte punite con sanzioni conservative non è un dato assoluto e omogeneo. Osservano i giudici di cassazione che ci sono contratti che contengono solo clausole generali e, più spesso, utilizzano formule esemplificative ove sono delineate condotte differenti. Quindi, la tipizzazione operata dalla disciplina collettiva non può essere di per sé decisiva e utilizzabile come elemento dirimente per tracciare i contorni dei limiti delle diverse tutele da applicare qualora si accerti l’illegittimità del recesso. In sostanza, richiamando le stesse parole della Cassazione, il nodo della questione è rinvenibile nel fatto (invero notorio e per nulla straordinario nella sua constatazione secondo la cosiddetta esperienza comune) che “quella della classificazione e catalogazione delle condotte è evenienza legata a fattori non prevedibili tanto che il dato oggettivo e razionalizzante che emerge è quello della previsione di clausole generali che ovviano all’impossibilità o comunque estrema difficoltà di procedere ad una catalogazione dettagliata ed esaustiva”. Tale soluzione interpretativa, appare sicuramente più in linea con la realtà fattuale e con le finalità dell’art. 18, comma 4 di ricondurre la reintegrazione a comportamenti che il contratto collettivo punisce con sanzione conservativa. Ciò comporta quale conseguenza che il giudice possa porre in essere quel giudizio di sussunzione per riportare nella fattispecie generale il caso contestato anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta. Soprattutto in ragione del fatto che la contrattazione collettiva non può prevedere ex ante tutte le condotte meritevoli di sanzione conservativa. Infatti, le parti sociali stabiliscono norme generali aperte o esemplificative proprio per consentire un’interpretazione del comportamento nella nozione generale indicata dalla disposizione collettiva. Si tratta di un giudizio “che afferisce alla ricostruzione della portata precettiva di una norma”. Altrimenti, si verificherebbe il paradosso di non consentire la tutela reintegratoria per condotte non così gravi o di lieve entità solo perché non espressamente tipizzate.
Pertanto, alla luce di tale revirement, la norma collettiva formulata attraverso una clausola generale o elastica non preclude al magistrato di effettuare un’interpretazione integrativa del precetto tesa ad accertare se una determinata condotta sia o meno riconducibile ad una nozione di negligenza lieve codificata nella stessa fonte collettiva come sanzionabile con una misura conservativa.