Infortuni sul lavoro: non c’è responsabilità del datore se è vietato l’accesso al cantiere anche se è possibile accedervi
Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 2022, n. 10165
La Corte di appello di Napoli, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva escluso la responsabilità del datore edile dell’infortunio mortale occorso al lavoratore, il quale aveva acceduto al cantiere interdetto ai lavori, come risultava dal giornale di cantiere e dalla delimitazione apposta al sito tramite apposizione di “nastri di cantiere” che però non impedivano l’ingresso.
Gli eredi della vittima avevano convenuto il datore di lavoro per farne accertare la responsabilità, sostenendo che sarebbe stata necessaria una apposita recinzione che non rendesse possibile accedere ai luoghi.
La Corte di merito aveva motivato la conferma del rigetto della domanda ritenendola inammissibile. Gli eredi avevano infatti censurato la sentenza di primo grado sostenendo l’inattendibilità dei tesi escussi, laddove la decisione impugnata si era limitata a sostenere la non necessità di una delimitazione più idonea ad impedire l’accesso.
Inoltre, gli appellanti avevano sostenuto l’obbligo del datore non solo di fornire le misure di sicurezza necessarie ma anche di vigilare affinché venissero concretamente rispettate, mentre invece la sentenza appellata aveva ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse ecceduto dai compiti e dalle mansioni affidategli, con conseguente non imputabilità dell’accaduto. Né, in ogni caso, avevano indicato quali accorgimenti ritenevano avessero dovuto essere adottati.
Non vi era quindi corrispondenza tra il decisum della sentenza e i motivi di appello che veniva quindi ritenuto inammissibile.
La sentenza veniva impugnata in sede di legittimità con un unico motivo, con il quale si deduceva che la Corte di merito aveva deciso senza verificare se la vittima fosse informata del divieto di accesso all’area interessata, né se la cintura di sicurezza fosse stata idonea a prevenire l’infortunio; che il luogo dell’incidente era accessibile a tutti; che mancava la prova che il divieto di accesso fosse stato concretamente portato a conoscenza del lavoratore e, infine, che la Corte aveva invertito l’onere della prova rigettando il ricorso nonostante il datore di lavoro non avesse dimostrato di avere assolto il proprio dovere di vigilanza sull’obbligo dei dipendenti del rispetto di tutte le misure di sicurezza.
La sentenza ritiene inammissibile il ricorso per lo stesso motivo evidenziato dalla sentenza di appello, ovvero l’estraneità dei motivi alla ratio decidendi.
La Corte di merito, infatti aveva adeguatamente motivato come inappropriati i motivi di appello, sicché la mera affermazione dell’accessibilità dei luoghi dell’incidente, reiterata in sede di legittimità, era incongrua con l’accertamento del giudice di merito circa l’idoneità dei mezzi utilizzati per portare a conoscenza dei lavoratori l’interdizione dell’accesso al cantiere.
In ogni caso, stabilire se un divieto di accesso disposto dal datore fosse meno conoscibile dai lavoratori è una questione di fatto, incensurabile in cassazione. Infine, l’onere di provare la condotta illecita, la natura colposa di questa e il danno causa, grava sul lavoratore secondo la più costante giurisprudenza della Corte (Cass. 2/2020, Cass. 907/2018; Cass. 4248/1992).
Il ricorso viene dunque rigettato.