La Corte di giustizia ancora sui giudici onorari italiani: sono lavoratori subordinati con ogni conseguente diritto retributivo e previdenziale
Nella saga infinita che riguarda la questione dei giudici onorari italiani interviene ancora la Corte di giustizia (sentenza 7 aprile 2022, causa C-236/20) dopo la sentenza UX del 16 luglio 2020 (in causa C-658/18: sulla quale v. TAMPERI, Lavoro, tutela e diritti dei magistrati onorari nella più recente giurisprudenza, su questionegiustizia.it, 30.04.21 ed ivi richiami).
La questione è nota: i giudici onorari, che pur coprono una gran parte del contenzioso civile e penale nel nostro paese, si trovavano, sino a pochi anni fa, in una situazione di precarietà circa la loro situazione lavorativa, retribuiti a cottimo (e in misura certamente insufficiente) e senza alcuna copertura contributiva.
La saga cui si faceva cenno inizia con il parere del Comitato europeo dei diritti sociali di Strasburgo che dichiara la violazione dell’art. E, nel combinato disposto con l’art. 12§1 della Carta sociale europea a conclusione del reclamo 102/2013 relativo proprio ai giudici di pace italiani, nella misura in cui negava loro il trattamento pensionistico e previdenziale (v. C. SPADA, Prime valutazioni sulle censure del Comitato europeo dei diritti sociali alla normativa italiana sui giudici onorari, su questionegiustizia.it, 31.1.2017).
A quel parere faceva seguito la riforma Orlando (D.Lgs. n. 116/2017, su cui: G. SCARSELLI, Note critiche sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria, su questionegiustizia.it, 10.07.2017) la quale – dopo l’autorevole parere del Consiglio di Stato n. 854/2017 che sosteneva: “3.1. Insussistenza di un vincolo europeo alla stabilizzazione (…). Qualora l’applicazione del diritto dell’Unione europea comportasse l’ingresso ‒ per la verità ‘sommamente improbabile’ ‒ nell’ordinamento giuridico di una regola contraria, ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, nella parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi (così la Corte costituzionale nelle sentenze n. 232 del 1989, n. 170 del 1984 e n. 183 del 1973; da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017)” – introduceva un minimo di tutele, consistenti in una semi stabilizzazione attraverso la previsione di rinnovi sino al raggiungimento, di fatto, dell’età pensionabile da parte dei giudici onorari.
La riforma prevedeva anche una nuova organizzazione del ruolo dei giudici onorari, finalizzata alla costituzione di un “ufficio del processo”, che vede la magistratura onoraria in una posizione di netta subordinazione al magistrato togato ma che non ha ancora trovato una generale applicazione per le difficoltà di realizzazione e per i problemi che creerebbe nella gestione complessiva dei procedimenti. Il tutto senza affrontare il pregresso dei rapporti che pur duravano anche da più di vent’anni.
Nonostante la “fatwa” del Consiglio di Stato, i contenziosi continuarono senza risultati apprezzabili, posto che la Corte costituzionale e la Cassazione ribadivano la natura onoraria dei giudici non togati, sino alla rimessione alla Corte di giustizia da parte di alcuni giudici di pace, avanti ai quali era stata avanzata – con finalità chiaramente strumentali – il diritto al pagamento delle ferie. I primi procedimenti vennero dichiarati inammissibili sino a che la Corte di giustizia, evidentemente influenzata sia dal parere del CEDS a cui si è fatto cenno nonché dalle numerose prese di posizione della Commissione petizioni del Parlamento europeo che si era ripetutamente pronunciato sulla questione, dette corso al procedimento C-658/18, sollevato da un GdP di Bologna e rese la sentenza UX nel luglio 2020 che ha sancito il diritto alle ferie del Giudice di pace ricorrente.
Ma la Corte di Lussemburgo, per giungere a tale risultato, dovette (o volle) procedere anche alla valutazione sotto il profilo europeo del rapporto, peraltro già esaminato nella sentenza O’Brien dell’1.03.12 (in causa C-393/10), affermandone in sentenza la natura subordinata, con ogni conseguenza sul diritto alle ferie, che erano l’unico oggetto del procedimento ma, implicitamente, anche sugli altri trattamenti connessi a tale status. Ma non solo: la Corte, infatti (punti da 42 a 65 e punto 77) chiarisce anche la natura giurisdizionale dell’attività del Giudice di pace (e, anche qui implicitamente, di tutti gli altri magistrati onorari italiani) a fronte delle contestazioni del Governo italiano: il tutto a condizione, la cui verifica è rimessa al giudice nazionale, della non marginalità in concreto della prestazione resa.
La pronuncia apriva così la via alle prime sentenze dei giudici nazionali – anticipate, per il vero dalla sentenza del Tribunale di Sassari del 24.01.20 che, sulla base delle conclusioni dell’Avvocato generale Julien Kokott del 23.1.20, aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto di un VPO – che hanno stabilito il diritto ad un’equa retribuzione, in alcuni casi parametrandola a quella di un giudice togato di prima nomina e, a seconda della causa, a tutti gli altri diritti derivanti dal principio dell’indisponibilità del tipo.
Si sono pronunciati, tra gli altri, i Tribunali di Vicenza (sentenze 16.12.20 e 23.07.21), Napoli (26.11.20 e 24.02.22), Vasto (12.02.22), Gela (24.01.22), Brindisi (11.03.22), La Spezia (22.04.21, limitatamente alle ferie) e Roma (13.01.21, Tribunale ordinario, in sede di giudizio per responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto europeo). Ovviamente si sono pronunciati negativamente anche alcuni Tribunali, taluni nel merito, spesso con riferimento alla mancata prova della marginalità delle prestazioni ed altri dichiarando la propria carenza di giurisdizione in favore del Tar.
La Corte di cassazione, infatti, con la sentenza a Sezioni Unite n. 21896/2021 aveva dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo “sulla base dell’erronea lettura (rectius della non lettura) del petitum del ricorso sottopostole” (così CARUSO, Il Tribunale di Brescia fornisce un assist alla Corte costituzionale e al legislatore …, su giustiziainsieme.it, 11.12.21) poiché il ricorso esaminato era ben chiaro nel distinguere la richiesta del giudice di pace in causa come lavoratore ex art. 2 e non 3 del D.Lgs. n. 165/2001, ma l’indicazione della Suprema corte, come si è visto, non è stata seguita da tutti i giudici di merito, anche perché, pochi giorni dopo, il Tar Lazio ne aveva declinato la propria giurisdizione in analoghe domande con sentenza 1.9.2121 n. 9484.
Nel frattempo, con ordinanza 27 maggio 2020 il Tar Emilia-Romagna aveva sollevato analoga questione avanti alla Corte di giustizia (rubricata come causa P.G., C-236/20), ampliando i quesiti alla Corte di giustizia oltre il problema delle ferie (cui necessariamente era limitato il rinvio del GdP) e estendendoli alla compatibilità con l’ordinamento europeo dell’esclusione “da ogni forma di trattamento economico assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico”. Dopo avere reso la sentenza UX, la Corte di Lussemburgo aveva chiesto al Tar italiano se intendesse mantenere la domanda di pronuncia pregiudiziale, intenzione che veniva confermata dal giudice italiano.
Il 7 aprile 2022 la Corte ha depositato la sentenza decidendo senza pubblica udienza e conclusioni dell’Avvocato generale. Delle tre questioni, la seconda e parte della prima, che riguardavano le differenze di trattamento tra magistrati ordinari e onorari, vengono ritenute inammissibili sostanzialmente perché l’ordinanza di rinvio non conteneva elementi di fatto sufficienti.
La Corte, comunque, esaminando la parte ritenuta ammissibile del primo quesito, ribadisce quanto già detto nella precedente pronuncia UX: l’attività del giudice di pace, salvo che non si presenti, nel caso specifico esaminato dal giudice, marginale o accessoria, rientra nel concetto di lavoratore subordinato (§30) cui si applicano dunque le “condizioni di lavoro … relative alle retribuzioni nonché alla pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro …” (§36). Così come, del resto, impone il principio dell’indisponibilità del tipo nell’ordinamento italiano (Cass. nn. 9471/16, 24083/21)
Ciò chiarito, quanto alle differenze tra il giudice di pace ed il magistrato ordinario italiani, una differenziazione nel trattamento è possibile se “esiste una ragione oggettiva che lo giustifichi” (§39) e, nella sentenza UX, già aveva precisato che le diverse modalità di accesso alla magistratura (per concorso o meno), nonché le differenze di ruolo e di carriera possono costituire una ragione oggettiva (§42) che spetta al giudice del merito valutare.
In ogni caso, “la differenza tra le modalità di accesso alla magistratura applicabili a queste due categorie di lavoratori non può giustificare l’esclusione, per i magistrati onorari, di ferie annuali retribuite nonché di ogni regime assistenziale e previdenziale di cui beneficiano i magistrati ordinari che si trovano in una situazione comparabile” (§48) e salva l’applicazione del principio “pro rata temporis” (§51,52).
E, ancora, “l’esclusione dei giudici di pace da ogni diritto alle ferie retribuite nonché da ogni forma di tutela di tipo assistenziale e previdenziale è, alla luce della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato o della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, inammissibile” (§53), così come, affrontando il terzo quesito, in caso di successione di contratti a termine in assenza di ragioni oggettive, “l’assenza di qualsiasi sanzione non appare idonea a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato” (§65).
La sentenza avrà dunque un impatto sui contenziosi in corso nonché sull’applicazione della recente normativa di riforma dei giudici onorari (commi da 629 a 633 dell’art. 1 della Legge n. 234 del 30.12.21), con l’istituzione dell’“ufficio del processo” che già ha sollevato numerose perplessità, anche in relazione alla pretesa di rinuncia ad ogni diritto maturato nel corso del pregresso rapporto quale condizione per proseguire l’attività giurisdizionale nel nuovo (e contestato) status.