Contratti a progetto nei Call Center: presunzione assoluta di subordinazione per genericità del progetto, non applicazione della decadenza ex art. 32, L. n. 183/2010 e inefficacia delle dimissioni. Alla fattispecie che cela un lavoro subordinato, si applica il risarcimento del danno parametrato sulle retribuzioni perse sino alla riammissione in servizio e non l’indennità risarcitoria ex art. 32, 5 comma.
La sentenza in annotazione (Trib. Roma, sent. 21.02.2022, n. 1250 – est. Orrù) risulta di notevole interesse per le argomentazioni motivazionali che toccano varie tematiche del diritto del lavoro nell’ambito dell’accertamento della illegittimità di contratti di lavoro a progetto come: la decadenza, la prescrizione, la presunzione assoluta di subordinazione per la genericità del progetto e, non da ultimo, se le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice incidano sulla possibilità di trasformare il rapporto o interrompano invece il sinallagma contrattuale.
La sentenza, inoltre, approfondisce anche un’altra problematica di rilevante interesse, ossia se a seguito dell’accertamento della illegittimità dei contratti a progetto debba applicarsi l’indennizzo previsto dall’art. 32, L. n. 183/2010 o, invece, il risarcimento del danno parametrato su tutte le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto sino alla riammissione in servizio.
Entrando nel merito della controversia, la vicenda in esame tratta il caso di una prestatrice che ha lavorato formalmente con contratti a progetto alle dipendenze di una società di Call Center. In breve, la ricorrente ha esposto di avere prestato la propria attività lavorativa senza soluzione di continuità, per circa 10 anni, con una serie di contratti di collaborazione a progetto, rivendicando la nullità del contratto a progetto con conseguente trasformazione del rapporto in lavoro subordinato fin dall’origine e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive maturate. È stata inoltre invocata la inefficacia della risoluzione del rapporto di lavoro inter partes, avvenuto tramite dimissioni, con il diritto al ripristino del rapporto, oltre al risarcimento del danno parametrati sulle retribuzioni maturate dalla data di offerta della prestazione lavorativa sino alla effettiva ricostituzione del rapporto.
Con riferimento poi agli indici della subordinazione ha dedotto: di avere svolto l’attività di operatrice di Call Center sulla base di indicazioni ricevute on line e sotto la diretta sorveglianza di team leader e responsabili di sala presenti quotidianamente; di aver osservato un orario di lavoro predeterminato; che la retribuzione non era in concreto commisurata ad alcun progetto raggiunto né in alcun modo a risultati conseguiti; che il progetto era generico e non indicava alcun risultato da raggiungere e consisteva, in realtà, in un elenco di mansioni.
Ai fini del presente commento, risultano di particolare interesse le statuizioni del Tribunale di Roma in ordine alle eccezioni preliminari della società. Il giudice capitolino, con riferimento alla decadenza dall’azione di accertamento della illegittimità dei contratti a progetto, ha affermato che la disposizione invocata (art. 32, comma 3, lett. b)) della L. n. 183 del 2010, non consente un’interpretazione diversa da quella che emerge dal testo della norma, non essendo la scadenza del termine nel rapporto a progetto o le dimissioni configurabili come ipotesi di recesso del datore di lavoro.
In merito poi alla prescrizione dei crediti per le differenze retributive rivendicate a causa dell’erogazione di un compenso inferiore rispetto alla retribuzione prevista dal CCNL di settore, il Tribunale ha osservato che tale fattispecie, trattandosi della ricostruzione ab origine della natura subordinata del rapporto, non può che decorrere dalla cessazione del rapporto, non essendovi mai stata alcuna garanzia di stabilità dello stesso.
Respinte le eccezioni di decadenza e prescrizione, il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità dei contratti di collaborazione a progetto affermando che i progetti descritti nei contratti risultavano del tutto generici e, pertanto, privi delle loro caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia, elementi causali questi che caratterizzano la validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Al riguardo, il giudice romano, rilevando che i progetti non risultavano conformi allo schema legale, ha osservato che la prestazione è stata resa in assenza di una preventiva predeterminazione della loro sequenza che, quindi, non possono che essere indicati di volta in volta dal datore di lavoro.
A parere del giudice, la “approssimativa definizione dei compiti, equivale all’omessa indicazione di uno specifico progetto che, ai sensi dell’art. 69 del D.lgs. n. 276/03 determina il vizio genetico del contratto concluso tra le parti e, per l’effetto, la sua conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
Pertanto, la mancanza di tali requisiti legali, ossia la genericità del progetto, determina una mera messa a disposizione di energie lavorative in favore del committente, dovendosi applicare la presunzione assoluta ex art. 69, primo comma, D.Lgs. n. 276/03 che rende superfluo accertare la sussistenza della subordinazione che, anzi, si presume, visto il venir meno dell’elemento costitutivo della fattispecie legale. D’altronde, sempre secondo il Tribunale, il lavoro svolto in base allo schema legale del contratto a progetto ex art. 61 del decreto in parola “è un lavoro subordinato regolato in deroga parziale in virtù dell’esistenza di un progetto, conseguendone che ove il progetto manchi, o sia fittizio, o sia generico, rivive il prototipo contrattuale del lavoro subordinato”. La conversione del primo contratto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato determina l’unicità del rapporto così che la stipulazione di successivi contratti a progetto non può in alcun modo incidere sulla già intervenuta trasformazione del rapporto.
Il Tribunale ha quindi dichiarato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato sin dal primo contratto a progetto, riconoscendo alla lavoratrice l’inquadramento nel III livello del CCNL Telecomunicazioni (quale addetta al Call Center), condannando, inoltre, la società al pagamento delle differenze retributive tra i compensi percepiti come collaboratrici e quelli invece stabiliti dal CCNL per i lavoratori subordinati inquadrati nel II livello.
Il giudice, infine, ha condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto sino alla riammissione in servizio, ritenendo le dimissioni non valide. Sul punto, il Tribunale ha osservato che “le dimissioni non risultano formalizzate con le modalità previste per porre termine ad un contratto di lavoro subordinato e, per tale motivo, non possono ritenersi idonee a giustificare la cessazione del rapporto di lavoro che deve pertanto considerarsi ancora in essere”.
Con riferimento alla non applicazione della indennità risarcitoria ex art. 32, D.Lgs. n. 276/03 il Tribunale ha richiamato il recente orientamento della Corte di cassazione che, con sentenza n. 11424 del 2021, ha ritenuto estranea alla disciplina risarcitoria del Collegato Lavoro la “fattispecie di un lavoro autonomo accertato giudizialmente ab origine come lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato (come nel caso in esame) dietro lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma (in questo senso già Cass. 20209/2016 e da ultimo, in una fattispecie sovrapponibile alla presente Cass. n. 29006/2020)”.