Carta elettronica ai docenti per lo sviluppo delle competenze professionali. Spetta anche agli insegnati assunti a tempo determinato
Come è noto, avendone più volte riferito la stampa nazionale, agli insegnanti scolastici dal 2015 viene riconosciuta una somma annua di 500 euro consistente in un bonus da utilizzare per l’acquisto di libri, riviste, ingressi nei musei, biglietti per eventi culturali, teatro e cinema o per iscriverti a corsi di laurea e master universitari, a corsi per attività di aggiornamento, svolti da enti qualificati o accreditati presso i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Più in particolare, l’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 prevede: “Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software (…) per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile”. Il comma 122 precisa poi che i destinatari sono gli “insegnanti di ruolo”, così escludendo quelli assunti a termine.
La questione è stata oggetto di un lungo contenzioso avanti al Consiglio di Stato che, con diverse sentenze (vd. ad es. la n. 326/207 e la n. 379/2017), aveva rigettato le domande dei lavoratori a termine finalizzate ad ottenere anche nei loro confronti la corresponsione del bonus, sul presupposto che fosse legittimo limitare l’investimento statale al personale a tempo indeterminato.
Tale orientamento era chiaramente contrario alla clausola 4 della Direttiva 1999/70 sul contratto a tempo determinato, la quale proibisce ai datori di lavoro di trattare i lavoratori a tempo determinato in un modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato per il solo fatto di avere un contratto a termine, a meno che non sussistano ragioni oggettive che giustifichino la differenza di trattamento, come ripetutamente interpretata dalla Corte di giustizia (sentenze Glatzel del 22 maggio 2014, C-356/12, punto 43, e in senso conforme: CGUE. Egenberger del 17 aprile 2018, C-414/16, punti 76-79, IR. dell’11 settembre 2018, C-68/17, punti 69-70).
Del resto, come si legge nella nota sentenza De Cerro Alonso del 17.09.07 (in causa C-307/05): “la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa osta all’introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato”.
E non vi è dubbio che la necessità di formazione e aggiornamento del lavoratore costituisca una delle condizioni che la Corte di giustizia ha ritenuto tutelabile sia nel caso di rapporto a tempo indeterminato che in quello di rapporto a termine, poiché tale circostanza può agevolare il lavoratore nel reperimento di altre posizioni lavorative alla cessazione del rapporto.
Il contenzioso si era quindi spostato avanti al giudice ordinario, il quale, con ordinanza del Tribunale di Vercelli del 16.07.21 ha sollevato questione pregiudiziale avanti alla Corte di giustizia di Lussemburgo interrogandola sulla legittimità della normativa italiana qui in esame con riferimento all’art. 4 della Direttiva.
Nel frattempo, anche il Consiglio di Stato ha rimeditato la sua posizione e, con sentenza n. 1842/2022 ha riformato la sentenza del Tar che rigettava per l’ennesima volta i ricorsi dei docenti a tempo determinato, annullando le circolari del ministero che li escludevano dal godimento del bonus.
Con la sentenza in commento, anche il Tribunale di Torino (sentenza n. 515/2022), dopo un primo rinvio in attesa della pronuncia della Corte di giustizia- preso atto della sentenza del Consiglio di Stato- ha deciso la causa rilevando come, oltre alla clausola 4 della Direttiva 1999/70 “tale sistema viene a collidere con le disposizioni costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione, sia sotto il profilo della discriminazione a danno dei docenti non di ruolo sia per la lesione del principio di buon andamento della P.A., scontrandosi con l’esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non solo quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, onde garantire la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti”.
Il Tribunale, quindi, ha condannato il Ministero dell’Istruzione a corrispondere alla parte ricorrente la complessiva somma di euro 3.000,00 per gli anni scolastici dal 2015/16 al 2020/21, oltre accessori.