Legittimità del rifiuto del lavoratore di sottoporsi alla vaccinazione Covid–19 e (conseguente) legittimità del provvedimento di sospensione del rapporto di lavoro (ambito Pubblica Istruzione) – Profili di incostituzionalità del novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021 – Supposto contrasto tra normativa interna e diritto comunitario

Con Decreto di rigetto n. cronol. 434/2022 del 01/02/2022, il Tribunale di Genova, in persona del Giudice del Lavoro, Dott. Alessandro Barenghi, respingeva il ricorso, ex art. 700 c.p.c., proposto da un lavoratore – docente, dipendente a tempo indeterminato del Ministero della Pubblica Istruzione – il quale prestava (rectius, presta) servizio presso un Istituto Statale di Istruzione Superiore. Il ricorso era stato proposto dal lavoratore al fine di ottenere la sospensione del provvedimento con il quale l’Istituto de quo aveva sospeso dal servizio il ricorrente per non avere lo stesso adempiuto all’obbligo vaccinale impostogli dalla “normativa emergenziale”.

La fattispecie, quindi, in estrema sintesi, è la seguente: 1) prestatore di lavoro dipendente statale, docente, comparto Scuola; 2) obbligo vaccinale imposto a determinate categorie di lavoratori [tra i quali il ricorrente]; 3) diritto del lavoratore di rifiutare la sottoposizione all’obbligo vaccinale [diritto che il prestatore di lavoro ha esercitato]; 4) legittimità del provvedimento con il quale l’istituto scolastico ha sospeso dal servizio il ricorrente per essersi lo stesso [legittimamente] rifiutato di adempiere all’obbligo vaccinale impostogli dall’art. 4–ter del decreto legge 01/04/2021, n. 44, siccome modificato dall’art. 2 del D.L. n. 172/2021.

Sul punto occorre primariamente osservare come il comma primo del novellato art. 4–ter sopra citato (nel testo vigente dal 27/11/2021 al 07/01/2022) reciti testualmente: << Dal 15 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 di cui all’articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall’articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie:

  1. personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore;
  2. b) … … omissis … … >>

Prevede altresì il comma secondo come il possesso del requisito vaccinale rappresenti la condicio sine qua non affinché le lavoratrici e i lavoratori del “comparto scuola” possano continuare a prestare servizio e a svolgere attività lavorativa presso gli istituti scolastici.

Dispone, inoltre il comma terzo che, in caso di mancata presentazione, da parte del lavoratore, della documentazione attestante l’adempimento dell’obbligo vaccinale, il dirigente scolastico o altro soggetto ad esso “parificabile” <<… accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato. L’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. …>>.

Quindi, è pacifico che l’atto di accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale determini la sospensione del diritto di prestare l’attività lavorativa con effetto immediato, senza maturazione della retribuzione. Infatti, come osservato dal Giudicante trattasi di norma (il novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021) “… dall’univoco tenore letterale …”, norma dalla quale si evince che “… l’effettuazione della vaccinazione costituisce un requisito per lo svolgimento della prestazione lavorativa …”.

Il ricorrente, per parte Sua, riteneva che la norma de qua fosse contraria agli artt. 2; 3 e 32 Cost. e, segnatamente, a quest’ultimo poiché detto articolo imporrebbe la tutela della salute dapprima come diritto del singolo e, solo “in via subordinata”, quale diritto/interesse della collettività. In buona sostanza, il lavoratore istante – a tenore del decreto oggi in commento – avrebbe chiesto la “disapplicazione” del novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021 e, conseguentemente, la disapplicazione del provvedimento di sospensione dal servizio attivo adottato dal Dirigente Scolastico.

Sul punto, il Giudice del Lavoro, ad avviso di chi scrive, ha correttamente osservato come la disapplicazione richiesta dal ricorrente – in via cautelare – non possa essere praticata per la “semplice” circostanza che l’accoglimento dell’istanza di sospensione del provvedimento del D.S. andrebbe a tutelare una posizione soggettiva che, allo stato attuale non è rinvenibile nel nostro ordinamento, quantomeno fino ad una eventuale pronunzia di incostituzionalità del novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021 da parte, appunto, della Corte Costituzionale.

Invero, il Giudice investito della questione “va oltre”. Secondo il Tribunale genovese la norma “incriminata” non presenterebbe affatto profili di incostituzionalità, quantomeno manifesta, in ragione del c.d. parametro di razionalità avendo, la norma de qua, nel merito e nella ratio legis, trovato riscontro positivo da parte della preponderante maggioranza della comunità scientifica (nazionale e internazionale).

Il decreto di rigetto oggi in commento – con un ragionamento cristallino, ineccepibile sotto il profilo logico–giuridico, sistematico e argomentativo e di estremo buon senso [quantomeno a parere di chi scrive] sembra, invece, ritenere la norma incriminata (il novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021) coerente con il dettato costituzionale. Infatti, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata del precitato art. 4–ter, è di solare evidenza come lo stesso si ponga “… come espressione di un necessario contemperamento tra due interessi contrapposti, quello individuale e quello generale del quale la collettività è portatrice e al riguardo non si comprende perché il legislatore debba fornire una protezione prevalente al primo rispetto a quest’ultimo alla luce del principio posto dall’art 2 Cost che assegna alla Repubblica il compito di richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale. …”.

È tanto più apprezzabile lo sforzo argomentativo del Giudice del Lavoro in quanto si ponga a mente come, compito precipuo del potere giudiziario, sia l’interpretazione della legge e detta opera “ricostruttiva”, appunto, della ratio legis deve trovare primaria fonte ispiratrice proprio nella Carta Costituzionale e nel bilanciamento dei diritti da essa sanciti.

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Ulteriormente interessanti – sotto il profilo argomentativo, a supporto della declaratoria di non accoglibilità del ricorso e, soprattutto, della non sostenibilità degli argomenti ivi proposti – sono i riferimenti operati dal Giudicante sia in punto “valutazione dell’efficacia del trattamento vaccinale”, sia in relazione agli obblighi di natura civilistica derivanti dal novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021.

Quanto al primo aspetto, occorre premettere che il ricorrente – producendo una relazione medica – avrebbe preteso che il Giudicante disapplicasse la norma de qua sulla base della (asserita) circostanza che non sarebbe provata, appunto, l’efficacia del vaccino. Sul punto, il Giudice del Lavoro ci prospetta una nuova “lezione” circa i principi generali del nostro ordinamento. Infatti, assume il Tribunale che non spetti certo alla magistratura [… non ne avrebbe comunque le competenze scientifiche] esprimere valutazioni circa il grado di efficacia di un vaccino. Peraltro, in attuazione del principio della soggezione del giudice alla legge – ex art. 101 Cost. – il Giudice osserva, invece, come l’art 4–ter abbia, sic et simpliciter, prescritto che la vaccinazione anti Covid–19 costituisca requisito essenziale per lo svolgimento della prestazione lavorativa del personale docente.

Per quanto attiene il secondo profilo (obbligazioni di natura prettamente civilistica derivanti dal novellato art. 4–ter, D.L. n. 44/2021) e, segnatamente, la pretesa del ricorrente di ottenere, comunque, il pagamento della retribuzione, evidenzia il Giudicante come la disposizione de qua, sia assimilabile all’art. 1463 c.c. [“Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.”]. Quindi, correttamente riferisce il Tribunale genovese che, nella fattispecie sub iudice, l’impossibilità sopravvenuta – siccome declinata dalla norma codicistica – trova concreto fondamento nel dettato di cui al D.L. n. 172/2021 (che ha novellato l’art. 4–ter, D.L. n. 44/2021), operando la predetta impossibilità sopravvenuta nei confronti del personale docente che ha (legittimamente, peraltro) esercitato il diritto di non vaccinarsi; impossibilità che determina, appunto ex art. 1463 c.c., l’inesistenza del diritto ad ottenere la retribuzione, cioè la controprestazione prevista dalla norma codicistica.

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Un’ultima annotazione in punto (asserita) illegittimità – sostenuta dal ricorrente – del provvedimento sospensivo adottato dal Dirigente Scolastico per violazione (anche) del diritto comunitario.

Invero, il lavoratore assume essersi verificate numerose violazioni di norme comunitarie, segnatamente a cura del legislatore nazionale. In particolare, lamenta la violazione dell’obbligo di disapplicazione della normativa interna poiché in contrasto con il diritto eurocomunitario; infatti, a tesi del ricorrente, il novellato art. 4–ter del D.L. n. 44/2021 sarebbe in contrato con l’art. 3 della Carta di Nizza e con l’art. 8 della CEDU.

Il Giudice del Lavoro ritiene – giustamente – anche le suddette doglianze infondate. A riprova, osserva come la giurisprudenza della CGUE abbia stabilito, in numerose occasioni, come l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione valga per gli Stati membri solo ed esclusivamente quando questi agiscono nell’ambito dell’applicazione del diritto dell’Unione stessa (cioè del diritto formatosi a livello comunitario).

Invero, la norma in oggi sub iudice (il novellato art. 4–ter del D.L. n. 44/2021) “… non costituisce disposizione di attuazione del diritto dell’UE, essendo la materia delle misure poste a tutela della salute pubblica di competenza del diritto nazionale; …”. Non solo, l’art. 3 della Carta di Nizza, fa riferimento all’esercizio del consenso libero e informato in ambito medico, peraltro, “… secondo le modalità definite dalla legge.”.

Ebbene, poiché il citato art. 3 rinvia alle modalità definite dalla legge – in carenza di una specifica normativa attuativa – è inapplicabile alla fattispecie sub iudice.

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Bene ha fatto, quindi, il Giudice del Lavoro, in applicazione dei principi suesposti, a respingere il ricorso in quanto totalmente sprovvisto del fumus boni iuris.