Il raptus passionale omicida, avvenuto durante il tragitto casa-lavoro, esclude l’infortunio in itinere
È quanto deciso dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 31485 del 3 novembre 2021 (APRI), secondo cui l’aggressione maturata in ragione dei rapporti interpersonali tra vittima ed aggressore è fuori dalla tutela assicurativa per infortuni avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, ex art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965: “agli effetti della protezione assicurativa l’aggressione è sempre ricompresa nell’occasione di lavoro anche quando non possa essere ricollegata, neppure indirettamente all’attività lavorativa svolta dall’assicurata, con l’unico limite dell’ipotesi in cui l’aggressione sia da ricollegarsi a ragioni extraprofessionali o a particolari rapporti tra vittima e aggressore, nel qual caso le circostanze lavorative costituiscono solo una delle possibili opportunità per porre in atto il movente delittuoso e perpetrare l’azione criminosa e tanto esclude che l’aggressione possa costituire evento protetto”.
Nel caso di specie l’aggressione mortale, verificatasi nel normale tragitto casa-lavoro, era da ascriversi a un raptus passionale dell’aggressore, conosciuto dalla lavoratrice in chat, poi condannato a pena detentiva per omicidio premeditato,
È evidente dunque che, attesa l’odierna preoccupante escalation di violenza contro le donne, l’arresto giurisprudenziale possa indubbiamente travalicare il mero evento legato al decesso della lavoratrice, potendosi applicare la suddetta massima anche in qualsivoglia altro caso di danno fisico (pur lieve).
Gli ermellini dunque, richiamando l’arresto delle Sezioni Unite (sentenza n. 17865 del 2015) nel quale furono delineate le linee guida entro cui muoversi nel definire il rapporto tra fatto doloso del terzo e occasione di lavoro, hanno ribadito la regola dell’esclusione della tutela assicurativa, previdenziale e solidaristica, nel caso in cui la causa violenta dell’evento occorso al lavoratore, sul luogo o sulle vie del lavoro, sia stata integrata dal comportamento doloso del terzo riconducibile ai rapporti personali tra l’aggressore e la vittima.
Pertanto il collegamento tra evento lesivo e attività lavorativa, comprensiva del percorso da e per il lavoro, risulta “basato su una mera coincidenza cronologica e topografica, tale da escludere la possibilità di ritenere configurata l’occasione di lavoro”.
Viceversa, qualora non sussistessero detti legami tra vittima ed aggressore (tali da importare una pronuncia penale di condanna per omicidio premeditato) l’aggressione andrebbe certamente ricompresa “nell’occasione di lavoro”, poiché sussistente il nesso di occasionalità con l’attività tutelata e il tragitto protetto,
E ciò anche se l’attività e il tragitto non ne siano stati direttamente la causa ma abbiano, quanto meno, reso possibile o agevolato il perpetrarsi dell’azione violenta e criminosa.
In conclusione si rileva che la sentenza in parola, ancorché adesiva rispetto alle precedenti Sezioni Unite, non arriva a far chiarezza sulle modalità con cui l’INPS, in assenza di una condanna penale (o in presenza di una pronuncia non passata in giudicato) possa validamente eccepire la sussistenza di detti legami interpersonali tra le parti coinvolte.
Ed infatti, specie allorquando il fatto non sfoci nella morte della lavoratrice (o del lavoratore), è difficile ipotizzare come l’Ente possa svolgere un’attività di indagine, più vicina a quella tipica della polizia giudiziaria, al fine di contestare l’allegazione resa dal denunciante circa la presunta eziologia della “causa violenta” nel tragitto casa-lavoro.