Infortunio sul lavoro e “pausa caffè”: I paradossi della fattispecie negata

Con Ordinanza n. 32473, pubblicata l’8 novembre 2021 (APRI), la Corte di Cassazione torna a occuparsi di infortunio sul lavoro, nel mentre di una vicenda del tutto particolare.

Per quel che più rileva, il vaglio di legittimità era postulato da un ricorso di INAIL in opposizione a una fase “di merito” che aveva riconosciuto, a favore di una lavoratrice, «l’indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea oltre all’indennizzo corrispondente ad un danno permanente del 10% in relazione ad un infortunio occorsale lungo il tragitto che stava percorrendo a piedi, in rientro da una breve “pausa caffè” il 21 luglio 2010».

Invero, si era esclusa la riconducibilità del rischio assunto dalla medesima alla categoria di “rischio generico” tanto quanto di “rischio elettivo”, «permanendo il nesso eziologico con l’attività lavorativa, posto che la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro ed era assente il servizio bar all’interno dell’ufficio».

In accoglimento del reclamo e decidendo nel merito, i giudici della nomofilachia si concentrano su di uno degli elementi costitutivi la fattispecie (art. 2 D.P.R. 1124/1965), la “occasione di lavoro”, negandone, in sorta, la sussistenza.

In particolare, sostenendo che «la causa violenta in occasione di lavoro […] è quella che dà occasione, appunto, ad alterazioni lesive legate alla prestazione lavorativa da nesso non meramente topografico-cronologico, ma di derivazione eziologica», la Suprema Corte conclude per non ammettere la «indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffé, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente», inquadrando, dunque, l’alea assunta dal prestatore all’interno del c.d. “rischio elettivo”.

Posto che, a parere, della pronuncia, le espressioni meno contestabili sono circoscritte alla ritenuta – a ragione – irrilevanza del reciproco comportamento assunto dalle parti coinvolte nella relazione, essendo una “premessa giuridica” (artt. 1372 e 1374 c.c.) l’impossibilità per «una mera prassi, o, comunque, una qualsiasi forma di accordo tra le parti del rapporto di lavoro, [di] allargare l’area oggettiva di operatività della nozione di occasione di lavoro», restano non pochi dubbi sulla complessiva correttezza del percorso sussuntivo perseguito.

In primo luogo, permane la sensazione che, nel caso concreto ossia all’interno di un orario di lavoro “continuato” (dalle 09.00 alle 15,00), una “pausa caffè” possa realizzare, anziché una situazione di pericolo “volontaria”, un c.d. rischio “specifico improprio”, potendo esso derivare proprio da necessità o “pause fisiologiche” (ex multis, Cass. 14 maggio 2020, n. 8948).

Di più, paradossale, al livello sistematico, risulterebbe anche l’effetto della pronuncia laddove si confermasse che un “diritto” funzionale alla salute psico-fisica del lavoratore come la “pausa”, si rammenta, imposto a livello “sovraordinato” (art. 4 DIRETTIVA 2003/88/CE), finisca per negare quelle tutele a contenuto “tipico” (D.P.R. 1124 del 1965) previste proprio al venire meno dell’incolumità del subordinato.

Più in generale, tale ricostruzione sembra altresì contrastare con «il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell’articolo 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell’articolo 38, non ha per oggetto l’eventualità [il rischio] che l’infortunio si verifichi, ma l’infortunio in sé» (ancora, Cass. 14 maggio 2020, n. 8948).