Sul diritto del personale apicale all’indennità sostitutiva delle ferie
Tutte le aziende sono solite premurarsi di attuare un piano ferie con riguardo al proprio personale dipendente, nessuno escluso, in modo da garantire continuità nel proprio ciclo produttivo. Qualora non vi fosse possibilità di fruire delle ferie, la legge e la contrattazione collettiva prevedono specifici meccanismi indennizzatori, in favore del dipendente, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
Invero, il diritto alla fruizione delle ferie (oppure il diritto alla loro indennità sostitutiva), cristallizzato nel comma 3 dell’art. 36 Cost., non conosce eccezioni e, per questo motivo, esso è riconosciuto anche in favore del personale dirigenziale.
All’interno della categoria del personale dirigenziale, poi, si è soliti distinguere tra due sotto-categorie, ossia tra dirigenti muniti del potere di auto-attribuzione delle ferie, vale a dire del potere di determinarle senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro (trattasi dei c.d. “dirigenti apicali”), e dirigenti privi di tale potere.
Orbene, cosa succede nel caso in cui un dirigente apicale lamenti di non aver goduto delle proprie ferie e, all’atto della cessazione del suo rapporto di lavoro, rivendichi l’indennità sostitutiva delle ferie, ossia la loro monetizzazione? A ben vedere, in un’ipotesi del genere sarebbe alquanto scontata la reazione del datore di lavoro, il quale potrebbe difendersi dicendo che è stato il dirigente apicale a non auto-attribuirsi deliberatamente le ferie e, quindi, ad essersi spontaneamente privato delle stesse, senza alcuna colpa da parte dell’imprenditore.
Non scontato è, invece, l’esito di una simile difesa, soprattutto per il Tribunale di Milano (sentenza del 16 giugno 2021, est. Dr. Perillo), secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad accollarsi le conseguenze negative della mancata fruizione delle ferie da parte del proprio dirigente apicale – vale a dire: pagare la relativa indennità sostitutiva all’atto della cessazione del rapporto di lavoro – ogniqualvolta non abbia “esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto”.
In particolare, secondo il Tribunale meneghino, il datore di lavoro, per evitare il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie, è onerato di “sollecitare il godimento delle ferie e dei permessi” e di “responsabilizzarlo nel caso di mancato godimento”, se del caso anche formalmente (ossia per il tramite di comunicazioni scritte). In altre e più semplici parole, il datore di lavoro deve (i) mettere il dirigente apicale in condizione di poter fruire delle ferie, evitando continuative assegnazioni di incarichi che inibiscono tale fruizione, (ii) invitare, quindi, il dirigente apicale a fruire delle ferie e (iii) informare il medesimo dirigente apicale che le ferie non fruite nel periodo di riferimento stabilito dalla contrattazione collettiva, o nel diverso periodo autorizzato dal datore di lavoro, andranno irrimediabilmente perse e non saranno più monetizzabili al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Il suesposto “onere di diligenza” da parte del datore di lavoro è stato mutuato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito formatasi in ambito di dirigenza medica, stante l’ambiguità di alcune clausole della relativa contrattazione di comparto, ma può ormai ritenersi sdoganato anche negli altri rapporti di lavoro dirigenziale.
Un piccolo accorgimento in più nella gestione dei rapporti di lavoro, ma di grande beneficio sul lungo termine.
A cura di Marasco Law Firm