Secondo il Tribunale di Cagliari, il lavoratore che non viene licenziato per “cambio appalto” non può avvalersi della clausola sociale
Il Tribunale di Cagliari, con ordinanza del 29 giugno 2021 (APRI), ha ritenuto che, poiché a norma dell’art. 21, comma 1, D.Lgs. 81/15, il rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente e la Società appaltante “uscente” nell’ambito di un cambio appalto, si è effettivamente convertito in un rapporto di lavoro a tempo parziale e indeterminato, il lavoratore non può chiedere, in applicazione della clausola sociale contenuta nel CCNL, l’assunzione alla ditta “subentrante”.
Il ricorrente, infatti, aveva, sia impugnato il termine apposto ai contratti di lavoro a tempo determinato dalla ditta uscente, sia domandato a quella subentrante l’assunzione ex art. 37 CCNL cooperative sociali.
Quindi, mentre la Società uscente ha dichiarato che la società subentrante doveva reputarsi obbligata ad assumere i quattro lavoratori precedentemente impiegati nel servizio, tra cui il ricorrente, quest’ultima ha, dal canto suo, allegato che quattro dipendenti della società uscente (tra cui il ricorrente) erano tutti privi della competenza linguistica necessaria per continuare ad operare nel servizio.
Quanto alla pretesa applicabilità della clausola sociale, la Società convenuta ha asserito di non aderire alla associazione datoriale firmataria e di applicare, invece, ai propri dipendenti un diverso CCNL.
Sul punto, va consolidandosi l’orientamento secondo il quale, nel caso in cui una delle due imprese coinvolte nel cambio appalto applichi un altro CCNL, è previsto esclusivamente l’obbligo di un confronto sindacale inteso ad analizzare la reciprocità di applicazione della norma e quindi la sua applicazione (cfr. Trib. Roma del 12.2.2021).
Il disciplinare e il capitolato di gara, in effetti, non avevano previsto l’obbligo dell’impresa subentrante di applicare al personale addetto all’appalto lo stesso CCNL applicato dalla precedente impresa affidataria, quanto piuttosto il mero obbligo di applicare uno dei CCNL di settore.
La domanda cautelare proposta dal ricorrente è stata respinta per difetto di fumus boni iuris.
Il Tribunale ha ritenuto che, a norma dell’art. 21, comma 1, D.Lgs. 81/15, il rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente e la società uscente si sia effettivamente convertito in un rapporto di lavoro a tempo parziale (18 ore settimanali) e indeterminato.
Tuttavia, nei rapporti tra il ricorrente e la ditta uscente manca un atto di recesso dal rapporto di lavoro distinguibile dalla mera scadenza del termine apposto al medesimo, cosicché all’esito della conversione sopra indicata il rapporto di lavoro a tempo parziale e indeterminato sopra accertato deve ritenersi non solo instauratosi, ma tuttora sussistente.
Si fa riferimento alla Giurisprudenza della Suprema Corte che distingue la cessazione della prestazione di lavoro avvenuta in ragione dell’esecuzione che le parti hanno dato alla clausola nulla, dall’estinzione del rapporto determinata dalla manifestazione unilaterale di volontà del datore di lavoro (si vedano, sul punto, tra le altre, Cass. 14 luglio 2005, n. 14814 e Cass. 10 novembre 2009, n. 23756, Cass. 17 marzo 2014, n. 6100), mancando la quale il rapporto di lavoro, una volta giuridicamente “ripristinato” per effetto della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine prosegue tra le parti originarie.
Per effetto delle indicate circostanze è, altresì, quindi, mancata nella fattispecie quella previa risoluzione del rapporto di lavoro in essere con l’impresa cessante che costituisce il presupposto di fatto necessario affinché si possa configurare il diritto di assunzione del lavoratore alle dipendenze dell’impresa subentrante.
Inoltre, per reclamare il diritto all’assunzione il ricorrente avrebbe dovuto, quindi, dimostrare nel corso del giudizio di possedere, alla data del cambio appalto, la richiesta competenza. Onere che secondo il Tribunale egli non ha assolto, mentre il possesso della già menzionata competenza è stato dimostrato in relazione a tutti i dipendenti assunti a tempo indeterminato.
In conclusione, deve ritenersi che il ricorrente – malgrado l’avvenuta conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato – non avesse e non abbia diritto di essere assunto alle dipendenze dalla ditta subentrante.