COVID-19: licenziamento nullo per superamento del periodo di comporto di un “lavoratore fragile”
In tema di licenziamento del cd. “lavoratore fragile” per superamento del periodo di comporto durante l’emergenza epidemiologica, il Tribunale di Savona, con ordinanza del 14 giugno 2021 (APRI), ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento comminato ad una lavoratrice che, a causa delle sue condizioni di salute (immunodepressa), era stata dichiarata inidonea dal Medico Competente a svolgere la propria prestazione lavorativa in azienda.
Nel caso di specie la lavoratrice veniva licenziata con lettera del 27 novembre 2020 per aver accumulato 189 giorni di assenza dal lavoro. In tale periodo venivano considerate anche le 109 giornate nelle quali era dovuta necessariamente rimanere assente dal lavoro stante il suo stato di lavoratrice fragile, così come confermato anche dall’INPS.
La ricorrente evidenziava come a favore delle sue pretese doveva trovare applicazione l’art 26 co. 2 D.L. 18/2020 in forza del quale i periodi di assenza dal lavoro per i lavoratori fragili dovevano essere equiparati alla degenza ospedaliera e dunque neutralizzati ai fini del periodo di comporto.
Diversamente la Società datrice rilevava come la modifica normativa che aveva esteso anche ai lavoratori fragili la neutralizzazione ai fini del computo del periodo di comporto era intervenuta successivamente alla data di licenziamento e pertanto non era applicabile al caso di specie.
Il Tribunale, pur considerando come il licenziamento della lavoratrice sia intervenuto sotto il vigore di una precedente formulazione della disposizione, ha evidenziato come gli interventi legislativi che si sono susseguiti durante lo sviluppo della pandemia sono stati emanati in un momento di straordinaria urgenza, ragion per cui devono essere letti unitariamente, in quanto dettati dall’esigenza di chiarire e specificare la portata della normativa emergenziale.
In particolare, secondo il Giudice la ratio dell’art. 26 è quella di “preservare il posto di coloro che devono rimanere assenti dal lavoro non per una condizione di autonoma malattia, ma poiché attinti dal divieto di recarsi sul luogo di lavoro in presenza a causa di specifiche condizioni di rischio che in astratto ne favoriscono il contagio”.
Alla luce di tali argomentazioni il Tribunale, ritenendo esclusi dal comporto i 109 giorni in questione, ha dichiarato la nullità del licenziamento per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110 co. 2 del Codice Civile, condannando la Società alla reintegrazione della lavoratrice ed al risarcimento del danno.