Patto di prova e violazione della normativa emergenziale
Com’è noto, a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il DL n. 18/2020 (c.d. Decreto “Cura Italia”) ha prorogato il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il cui termine è stato successivamente esteso al 30 giugno 2021 dal D.L. n. 41/2021 (c.d. Decreto “Sostegni”). A tal riguardo, il Tribunale di Roma, con la sentenza del 25 marzo 2021 (APRI) si è pronunciato sulla illegittimità di un licenziamento comminato nel periodo di prova.
E’ il caso di una lavoratrice assunta con contratto, sottoscritto in data 1° marzo 2020, che prevedeva un periodo di prova di 6 mesi.
Sebbene la ricorrente in smart working avesse continuato a svolgere le mansioni a cui era adibita, trascorso il periodo di prova, la società convenuta le aveva comunicato la volontà di risolvere il rapporto di lavoro. A fronte di ciò, il Giudice dichiarava nullo il licenziamento irrogato alla ricorrente, disponendone la reintegra.
Sul punto, si osservi che le parti, preliminarmente alla stipula di un contratto di lavoro, possono prevedere la cosiddetta clausola del “patto di prova” e cioè l’effettuazione di un periodo durante il quale il lavoratore ha gli stessi diritti e doveri di un qualsiasi altro dipendente ed, inoltre, che la citata clausola deve contenere l’indicazione specifica delle mansioni affidate al lavoratore, al fine di provare il positivo superamento del periodo stesso.
La Suprema Corte ha ribadito, a tal proposito, che “incombe sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 cc, sia il positivo superamento del patto del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da un motivo illecito” (Cass. n. 21784 del 14/10/2009; n. 16224 del 27/6/2013). Pertanto, nel caso di specie, il periodo di prova risulta superato dalla ricorrente per il principio di non contestazione.
Nella citata pronuncia, inoltre, il Giudice ha ritenuto il licenziamento intimato alla dipendente, determinato da un motivo illecito, poiché era stato irrogato per motivi economici e non per mancato superamento del periodo di prova.
Pertanto, il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento e ordinato la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato dalla lavoratrice, condannando l’Azienda a corrispondere alla stessa tutte le retribuzioni maturate dal 16 marzo 2020 fino all’effettiva reintegrazione.