Anche se il trasferimento di ramo d’azienda è illegittimo, solo la cessionaria può essere condannata per demansionamento del lavoratore

Nel caso in cui un trasferimento di ramo azienda sia dichiarato illegittimo, la responsabilità per demansionamento di un lavoratore deve essere imputata comunque al cessionario e non anche al cedente, essendo il primo ad avere in concreto utilizzato la prestazione del lavoratore. A statuirlo è la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13787 dello scorso 20 maggio (APRI).

Nel caso di specie, un lavoratore ricorreva giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per demansionamento a far data dall’anno 2002, chiedendo la condanna in solido della sua originaria datrice di lavoro e dell’azienda che, nel marzo 2004, aveva acquisito il ramo d’azienda cui il medesimo era adibito – cessione di ramo d’azienda successivamente dichiarata illegittima.

La Corte d’appello di Napoli confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda del lavoratore, riconoscendo la responsabilità solidale delle due società a fronte della declaratoria di illegittimità del trasferimento d’azienda. Per il periodo in cui il lavoratore aveva lavorato alle dipendenze della cessionaria, dunque, erano state condannate in solido sia la cedente che la cessionaria, per il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’art. 2103 c.c. (in base al quale il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore successivamente acquisito ovvero riconducibili allo stesso livello e categoria delle ultime effettivamente svolte).

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società originariamente datrice di lavoro (cedente) deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2112 c.c.

Invero, la ricorrente sosteneva che, essendo stato accertato che il demansionamento si era protratto da aprile 2002 e fino ad ottobre 2010, e che da marzo 2004 il lavoratore era alle esclusive dipendenze della società cessionaria, doveva ritenersi erronea la condanna solidale delle società per l’intero periodo, indipendentemente dall’illegittimità del trasferimento. Dal 2004 in poi, infatti, la responsabilità del demansionamento era gravante sul solo soggetto utilizzatore delle prestazioni, che aveva il potere effettivo di assegnare le mansioni.  

La Corte di legittimità, accogliendo le istanze della cedente e ribaltando la decisione della Corte d’Appello, ha statuito che, nell’ipotesi di invalidità del trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro permane con il cedente (ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento), e se ne instaura uno nuovo con il cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore, seppur illegittimamente trasferito, abbia materialmente continuato a lavorare.

Tale nuovo rapporto di fatto, secondo la Corte, è produttivo degli effetti giuridici e degli obblighi gravanti su qualsiasi datore che utilizzi la prestazione del lavoratore nell’ambito della propria struttura imprenditoriale, tra cui anche quello discendente dall’art. 2103 c.c. Pertanto, l’eventuale violazione di tale norma non può essere imputata al cedente che in concreto non utilizza la prestazione lavorativa, ma soltanto al cessionario (Cass. n. 21161/2019).   Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha ritenuto la società cedente esente da responsabilità per il periodo in cui il lavoratore aveva lavorato alle dipendenze della cessionaria, cassando dunque la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.