Vaccinazioni in azienda: il punto del Garante della Privacy

Il dibattito sulle tempistiche di vaccinazione è, praticamente, all’ordine del giorno. I meccanismi logistici definiti dall’attuale Governo Draghi, seppure apprezzabili, non rispecchiano quella celerità cui ambiscono, invece, gli operatori di mercato (soprattutto del settore alberghiero/turistico, per i quali il poter vantare lavoratori vaccinati in servizio è condizione stessa per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale).

Per tentare di andare incontro alle esigenze dei privati, dietro mediazione e promozione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nonché del Ministero della Salute, le Parti sociali hanno convenuto, in data 6 aprile 2021 e su indicazione del Governo, un “Protocollo nazionale per la realizzazione di piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro”.

In estrema sintesi, “i datori di lavoro, singolarmente o in forma aggregata e indipendentemente dal numero di lavoratrici e lavoratori occupati, con il supporto o il coordinamento delle Associazioni di categoria di riferimento, possono manifestare la disponibilità ad attuare piani aziendali per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2 (Covid-19) nei luoghi di lavoro” (cfr. art. 2, Protocollo), proponendo appositi “piani aziendali … anche per il tramite delle rispettive Organizzazioni di rappresentanza, all’Azienda Sanitaria di riferimento” (cfr. art. 4, Protocollo).

Nel piano dovrà essere indicato il numero di vaccini richiesti (cfr. art. 5, Protocollo), con la precisazione che “i costi per la realizzazione e la gestione dei piani aziendali, ivi inclusi i costi per la somministrazione, sono interamente a carico del datore di lavoro, mentre la fornitura dei vaccini, dei dispositivi per la somministrazione (siringhe/aghi) e la messa a disposizione degli strumenti formativi previsti e degli strumenti per la registrazione delle vaccinazioni eseguite è a carico dei Servizi Sanitari Regionali territorialmente competenti” (cfr. art. 6, Protocollo).

Compiti specifici, anche di una certa importanza, sono poi previsti per il Medico Competente aziendale, il quale dovrà informare i lavoratori sui “vantaggi” e sui “rischi” della vaccinazione, assicurando l’acquisizione del “consenso informato del soggetto interessato” (cfr. art. 9, Protocollo).

Queste disposizioni, evidentemente, costituiscono un’opportunità aggiuntiva rispetto al piano nazionale di vaccinazione e ai suoi ritmi, come tali liberamente fruibili dai datori di lavoro.

Tuttavia, quei datori di lavoro che intendano aderirvi dovranno, purtroppo, fare i conti con il “Documento di indirizzo”, diffuso dal Garante della Privacy con il Provvedimento n. 198/2021, denominato “Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali”.

In questo documento è specificato, a più riprese ed a chiare lettere, che ai datori di lavoro “è … demandato il compito di promuovere l’iniziativa della vaccinazione presso i luoghi di lavoro fornendo, in particolare, alla generalità dei dipendenti, le indicazioni utili relative alle complessive caratteristiche del servizio vaccinale usufruibile in azienda e sottoposto alla supervisione dell’azienda sanitaria di riferimento, ad esempio, rendendo disponibile, anche sulla rete intranet, documenti esplicativi”.

Nel fare ciò, però, al datore di lavoro è fatto divieto di trattare i dati personali dei dipendenti, non bastando neppure il consenso di quest’ultimi alla vaccinazione a rendere legittimo l’utilizzo di siffatti dati: ciò in ragione, secondo il Garante della Privacy, “dello squilibrio del rapporto tra titolare [datore di lavoro] e interessato [lavoratore] nel particolare contesto lavorativo”.

Pertanto, il datore di lavoro non solo dovrà adottare precauzioni “tali da evitare per quanto possibile di conoscere, da parte di colleghi o di terzi, l’identità dei dipendenti che hanno scelto di aderire alla campagna vaccinale”, prevenendo “l’ingiustificata circolazione di informazioni nel contesto lavorativo o comportamenti ispirati a mera curiosità”, ma dovrà altresì astenersi dal “far derivare alcuna conseguenza, né positiva né negativa, in ragione della libera scelta del lavoratore in ordine all’adesione o meno alla campagna vaccinale”.

Si tratta di complicazioni di non poco conto che, peraltro, potrebbero essere gestite mediante una “procedimentalizzazione” del percorso di vaccinazione, già a cominciare dalla presentazione della relativa domanda: ad esempio, si potrebbero impiegare canali riservati di trasmissione delle richieste vaccinali e predisporre moduli che siano anonimizzati; la chiamata del lavoratore potrà poi avvenire mediante affissione sull’intranet del numero di protocollo della domanda; e così via.

Grandi sforzi in vista, si spera, di un risultato ancor più grande ed economicamente remunerativo.

A cura di Marasco Law Firm