Sui possibili limiti al nuovo “potere dispositivo” dell’Ispettorato del Lavoro
Durante la decretazione d’urgenza è passata quasi silenziosa un’interessante modifica apportata al D.lgs. n. 124/2004 che, come noto, costituisce un vero e proprio regolamento generale dei comportamenti che gli organi di ispezione e vigilanza in tema di lavoro e previdenza devono adottare .
In particolare, l’art. 12-bis del D.L. n. 76/2020 (conv. in legge n. 120/2020 – c.d. “Semplificazioni”) ha modificato l’art. 14 del D.lgs. n. 124/2004 e, più in particolare, il suo primo comma, il quale ora recita come segue: “il personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”.
Evidente la differenza con il previgente primo comma del medesimo art. 14 ult. cit., il quale recitava, invece, come segue: “le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”.
Dunque, nell’ambito del nuovo art. 14, comma 1, ult. cit., gli organi ispettivi – e, segnatamente, l’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente – possono accertare e, appunto, “disporre” che il datore di lavoro si adegui ad una serie, in verità piuttosto vasta, di norme di rango civilistico in ambito lavoristico/previdenziale, determinate per esclusione (i.e.: tutte quelle che non integrano violazioni già sanzionate penalmente e/o amministrativamente).
Nel definire, dal proprio canto, questo nuovo e sconfinato spatium operandi, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha diffuso una circolare e una nota operativa, vale a dire la Circolare INL n. 5/2020 (VEDI) e la Nota INL n. 4539/2020 (VEDI), stabilendo, con la prima, che gli accertamenti ispettivi possono estendersi finanche agli inadempimenti registratisi con riguardo al contratto collettivo applicato – anche in via di fatto – dal datore di lavoro; con la seconda, che quegli stessi accertamenti possono coinvolgere solo inadempimenti riguardanti la parte normativa (vale a dire: la disciplina dei rapporti di lavoro) ed economica (vale a dire: la determinazione delle retribuzioni e dei meccanismi stipendiali) di un contratto collettivo, con esclusione della parte obbligatoria (vale a dire: la disciplina dei rapporti tra sindacati e datore di lavoro) del medesimo contratto.
Certo è che la disposizione di legge ha detto meno di quanto si vorrebbe includervi o, comunque, lo ha detto male. Del resto, laddove il Legislatore ha inteso estendere i poteri ispettivi anche alla disciplina contrattual-collettiva lo ha fatto espressamente, come attesta la formulazione dell’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 124/2004, secondo cui “in caso di constatata inosservanza delle norme di legge o del contratto collettivo in materia di lavoro e legislazione sociale e qualora il personale ispettivo rilevi inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, questi provvede a diffidare il trasgressore e l’eventuale obbligato in solido […]”.
Ebbene, questo tenore letterale delle disposizioni contenute nel D.lgs. n. 124/2004 è stato recentemente valorizzato dal T.A.R. Friuli Venezia Giulia (sent. n. 155/2021), il quale ha ritenuto che la tutela dei rapporti di lavoro attraverso i meccanismi correttivi/sanzionatori approntati dal suddetto decreto legislativo non si estenderebbe all’errato inquadramento contrattuale dei lavoratori, ossia a quei casi in cui, dato lo svolgimento di determinate mansioni, al lavoratore sia stato assegnato un livello diverso da quello che spetterebbe proprio a fronte dello svolgimento di quelle mansioni.
Tale conclusione è stata raggiunta dai Giudici friulani sulla scorta di due argomentazioni condivisibili, almeno, sotto il punto di vista del buon senso e della razionalità delle risorse della Pubblica Amministrazione: la prima considerazione riguarda il fatto che sono anzitutto i dipendenti a far valere il proprio errato inquadramento contrattuale, costituendo tale tematica una delle più dibattute nelle aule di giustizia; la seconda considerazione riguarda le difficoltà che si possono riscontrare, in sede amministrativa, nel far valere una difformità di fatto rispetto alle fonti negoziali, per giunta in assenza di parametri limitativi di questi poteri di verifica/disposizione.
Si pensi, ad esempio, a quei contratti collettivi (come il CCNL Metalmeccanici Industria) in cui un medesimo novero di attività e, quindi, una medesima qualifica (ad es.: “Addetto macchine a controllo numerico”) può rientrare in diversi livelli di inquadramento (nel nostro caso, 4° categoria o addirittura 5° categoria Super del CCNL Metalmeccanici Industria), a seconda di sfumature più o meno percepibili ‘a occhio nudo’ (ad es.: pregressa esperienza nel settore; possesso di comprovate conoscenze tecniche; autonomia esecutiva; etc.).
Non è difficile, pertanto, che questa giurisprudenza amministrativistica si faccia sempre più strada anche in altri Tribunali. Di modo che è quantomai auspicabile una precisazione da parte del Legislatore, se non altro a salvaguardia del buon operato della Pubblica Amministrazione.
A cura di Marasco Law Firm