Attribuzione di card sconto ai dipendenti: l’irrilevanza fiscale del vantaggio economico

Con la Risposta a interpello n. 221/2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non rileva ai fini IRPEF lo sconto praticato dal datore di lavoro ai propri dipendenti per l’acquisto dei prodotti della stessa società nel caso in cui il prezzo pagato dai lavoratori superi quello pagato dai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione ovvero nel caso in cui l’abbuono, non cumulabile, non superi quello applicato, in alcuni periodi dell’anno, alla generalità della clientela.

Nella fattispecie esaminata dall’Amministrazione Finanziaria la società istante, attiva nel mercato dell’abbigliamento, commercializza i propri capi tramite punti vendita di proprietà, negozi in franchising e contratti di somministrazione (fornitura prodotti) gestiti da dipendenti di partner commerciali. Al fine di rafforzare il posizionamento del brand, l’impresa ha deciso di veicolare i propri prodotti anche attraverso il coinvolgimento della forza lavoro, promuovendo un’iniziativa che prevede l’attribuzione ai dipendenti di una card (personale, non cedibile e non cumulabile con analoghe iniziative commerciali), con cui viene riconosciuto uno sconto del 25% rispetto al prezzo di vendita. A tale riguardo viene precisato che il prezzo scontato, maggiore del costo sostenuto dal datore di lavoro, è comunque superiore rispetto a quello praticato nei confronti dei soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione e che lo stesso potrebbe allinearsi a iniziative promozionali che in alcuni periodi dell’anno sono rivolte alla generalità della clientela(1).

In via preliminare le Entrate rilevano che, ai sensi dell’art. 51, comma 1 del Tuir, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sottoforma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Come noto, tale disposizione sancisce, quale principio base, l’onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, ovvero l’assoggettamento a tassazione, in generale, di tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro.

 L’ampia locuzione legislativa ricomprende, oltre alla retribuzione corrisposta in denaro, anche quei “vantaggi economici” che i lavoratori subordinati possono conseguire ad integrazione della stessa. Si tratta dei c.d. “compensi in natura”, consistenti in opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro, il cui valore deve essere determinato facendo riferimento al criterio del valore normale(2). Al riguardo, l’art. 51, comma 3 del Tuir, dispone che il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista.

Nel dettaglio, l’art. 9, comma 3 del Tuir prevede che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.

Fatta questa premessa, l’Amministrazione Finanziaria giunge alle summenzionate conclusioni richiamando alcuni chiarimenti resi con precedenti documenti di prassi. Con particolare riferimento agli sconti d’uso, infatti, la Risoluzione n. 26/E/2010 aveva chiarito che il valore normale dei beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti può essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro(3). Inoltre, con la Circolare n. 326/1997 il Ministero delle Finanze aveva precisato che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto gratuitamente, dal momento che se, invece, per la cessione dello stesso il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione risulta pari alla differenza tra valore normale del bene ricevuto e le somme pagate.

Nella fattispecie in commento, tuttavia, il prezzo pagato dai dipendenti della società istante è superiore a quello pagato dai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione. Pertanto, il prezzo pagato dai lavoratori non si configura quale corrispettivo simbolico che mascheri l’erogazione di una retribuzione. Inoltre, lo sconto praticato ai dipendenti non supera quello applicato, in alcuni periodi dell’anno, agli altri clienti e non può essere cumulato con altre iniziative commerciali analoghe adottate in favore della clientela. Sulla scorta di tali considerazioni, l’Amministrazione Finanziaria propende per la non imponibilità dell’abbuono, ritenendo correttamente che il lavoratore corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso.

A giudizio di chi scrive i chiarimenti interpretativi forniti dall’Agenzia con il documento di prassi in commento risultano utili, nonché pienamente condivisibili. A ben vedere, il riconoscimento della rilevanza fiscale dello sconto applicato sul prezzo dei capi di abbigliamento acquistati dai dipendenti della società istante genererebbe una disparità di trattamento tra i clienti, che potrebbero così acquistare la merce ad un prezzo scontato, e i lavoratori, che vedrebbero ingiustamente tassato il “vantaggio economico”. Nessun rilievo emerge, infine, con riferimento alla circostanza che la riduzione di prezzo venga riconosciuta attraverso una card, configurandosi la stessa alla stregua di un mero strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto.


Note

(1) Sul punto si veda anche M. STRAFILE, Non tassati gli sconti ai dipendenti in linea con le pratiche commerciali, in IlSole24Ore del 30 marzo 2021, Norme e Tributi, pag. 37.

(2) Sul punto cfr. D. SILVESTRO, Non imponibile lo sconto ai dipendenti se non supera quello applicato ai clienti, in Eutekne.info del 30 marzo 2021.

(3) Nel caso in cui il datore di lavoro commercializza e vende ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in base alle sopra esposte regole ordinarie che governano la categoria reddituale in esame, ovvero in ragione del principio di onnicomprensività enunciato dall’art. 51, comma 1 del Tuir. (Cfr. in tal senso la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 137/2009).