Blocco dei licenziamenti e qualifica dirigenziale secondo la più recente pronuncia del Tribunale di Roma
Il Tribunale di Roma, con sentenza dello scorso 19 aprile (APRI), ha affrontato nuovamente la questione dell’applicabilità del blocco dei licenziamenti introdotto dall’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (il cosiddetto “Cura Italia”) ai lavoratori con qualifica dirigenziale, fornendo questa volta risposta negativa.
La sentenza, prima di accertare nel merito la giustificatezza del recesso, ha escluso l’astratta applicabilità del citato divieto di licenziamento, sulla base di due distinti argomenti.
Il primo profilo esaminato è il tenore letterale della disposizione, secondo cui il datore di lavoro “non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”, richiamando quindi una disposizione pacificamente non applicabile ai dirigenti.
Inoltre, indagando la ratio dell’istituto, la sentenza individua una simmetria tra il blocco dei licenziamenti ed il generalizzato riconoscimento degli ammortizzatori sociali (qualificati come “soccorso della collettività generale”) motivato dall’esigenza di garantire i livelli occupazionali, pur consentendo una riduzione del costo del lavoro a carico dei datori forzatamente inattivi.
Una simmetria non rinvenibile nel caso dei dirigenti che, come noto, non hanno diritto ad ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
Se quindi – questo il percorso argomentativo del Tribunale – il blocco dei licenziamenti si applicasse per assurdo anche ai dirigenti, non vi sarebbero strumenti per garantire un reddito al lavoratore e, al contempo, per evitare di addossare tutti gli oneri al datore di lavoro il quale, magari anche in presenza di una giustificazione di licenziamento, sarebbe costretto a farsi carico dell’intero costo del lavoro. Un frangente con aspetti di potenziale incostituzionalità riferita all’eccessiva compressione della libertà di iniziativa economica.
In chiusura, inoltre, la sentenza confuta l’argomento (posto a base di alcuni dei precedenti di segno contrario) fondato sulla pretesa irragionevolezza derivante del diverso trattamento riservato al dirigente per il caso di licenziamento individuale, rispetto a quello di licenziamento collettivo: nel primo caso, infatti, il dirigente non potrebbe invocare il blocco dei licenziamenti, di cui invece fruirebbe nel secondo.
Sul punto, il Tribunale si limita a rilevare come la diversità tra le due fattispecie – con la prima che vede un dirigente licenziato per motivo economico e con l’altra, del tutto distinta, che riguarda un dirigente coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo che riguarda anche altri lavoratori protetti dal blocco di cui all’art. 46 del D.L. n. 18/2020 – sia idonea a giustificare una diversità di trattamento.
E non possa, in ogni caso, costituire ragionevole motivo di estendere il divieto, in contrasto con il dato letterale e lo spirito della disposizione.