Nessuna presunzione assoluta sui redditi da assoggettare a contribuzione previdenziale
Con sentenza del 26 marzo 2021, disponibile nella Banca dati del sito, la Sezione Lavoro del Tribunale di Benevento (Giudice dr.ssa Mari) torna a pronunciarsi su un’annosa questione che coinvolge, ormai da molto tempo, tutti i liberi professionisti iscritti ad Albi Professionali, ossia se e quando sussiste una “presunzione assoluta” relativamente alla produzione di redditi professionali da assoggettare a contribuzione previdenziale.
A tal riguardo, è ben nota la prassi degli Enti previdenziali privatizzati di procedere all’iscrizione d’ufficio dei lavoratori autonomi già registrati presso i relativi Albi Professionali (i.e.: gli Avvocati vengono iscritti d’ufficio alla Cassa Forense, e così via): ciò sulla base del ragionamento, invero alquanto semplicistico, per cui l’iscrizione ad un Albo Professionale comporterebbe, di per sé, lo svolgimento della relativa attività oggetto di iscrizione e, quindi, la produzione di un reddito da assoggettare a contribuzione.
Tale ragionamento, ancorché apparentemente avallato dal disposto di cui all’art. 18, comma 12, D.L. n. 98/2011 (conv. in L. n. 111/2011), che esclude la possibilità di iscrizione alla Gestione Separata dell’INPS per coloro «che svolgono attività il cui esercizio … sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali»(sancendo un principio che, a detta di chi scrive, può essere così sintetizzato: “un Albo, una Cassa”), ha conosciuto un ampliamento di non poco conto ad opera della giurisprudenza, la quale è arrivata ad includere tra i redditi assoggettati a contribuzione previdenziale anche quelli derivanti da attività che, pur non richiedendo l’iscrizione ad un Albo, sono comunque connesse a quelle tout court professionali.
In particolare, è stato ritenuto che «il concetto di “esercizio della professione”, rilevante ai fini di stabilire se i redditi prodotti da un libero professionista siano qualificabili come redditi professionali soggetti come tali, alla contribuzione dovuta alla Cassa previdenziale di categoria, deve intendersi, alla luce della lettura adeguatrice operatane dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 402 del 1991, comprensivo oltre che dell’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un nesso con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto anche la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione»(cfr., per una compiuta ricostruzione del concetto di “base culturale” che, da un punto di vista contributivo, accomunerebbe le attività professionali e quelle non professionali, Trib. Milano, Sez. Lav., sentenza del 14 luglio 2016, est. Scarzella; cfr., altresì, Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 27 novembre 2015, n. 24303).
E però, dal suesposto scenario normativo e giurisprudenziale non è dato evincere una “presunzione assoluta” di assoggettamento a contribuzione previdenziale dei redditi che un iscritto ad un Albo Professionale può aver generato anche in virtù dello svolgimento di attività diverse da quelle professionali e/o ad esse strettamente connesse per identità di “base culturale”.
Ciò è ben rimarcato dal Giudice beneventano con la pronuncia richiamata in apertura, sancendo che compete all’Ente previdenziale privatizzato (in quel caso, l’EPPI) fornire «la prova dell’esercizio di “attività autonoma di libera professione”» – anche attraverso la produzione del c.d. “Quadro RE” contenuto nelle dichiarazioni reddituali – per poi poter legittimamente procedere all’iscrizione d’ufficio del libero professionista ed alla conseguente richiesta della contribuzione previdenziale dovuta e non versata.
Tale regola, che a ben vedere rappresenta una naturale applicazione dei canoni probatori sanciti dall’art. 2697 c.c. (ma spesso ignorati dalle Casse privatizzate), non conosce nessuna eccezione; ciò anche laddove l’Ente previdenziale privatizzato abbia richiesto al professionista una dichiarazione relativa o meno all’esercizio della professione e la stessa non sia mai stata trasmessa da questi all’Ente previdenziale richiedente, non potendo da tale omissione ricavarsi una sorta di “silenzio circostanziato”.
Si restringe, dunque, la forse eccessiva discrezionalità delle Casse privatizzate verso l’iscrizione – potremmo dire – iuris et de iure dei liberi professionisti iscritti agli Albi Professionali.