Il “licenziamento” a parametro – quasi – zero: l’opportunità dell’art. 1, comma 311 della L. n. 178/2020
La preoccupazione di posticipare, sempre più avanti, il blocco dei licenziamenti con il conseguente procrastinarsi del temuto “dialogo” tra le parti sociali – per le quali ci si potrebbe aspettare un’estate e probabilmente anche un autunno caldo – ha messo, forse, in secondo piano l’opportunità, scritta in un inciso prima con il c.d. D.L. Agosto e poi con il primo D.L. Ristori, di offrire una soluzione – come si dice nel linguaggio calcistico – a parametro, aggiungerei “quasi”, zero di incentivazione all’esodo dei lavoratori.
La norma in analisi indica che “le sospensioni e le preclusioni” dei licenziamenti “non si applicano nelle ipotesi […] di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22”(1).
Una chiara norma cuscinetto creata dal vecchio esecutivo – forse anche su spinta di una parte sociale che, solo apparentemente, sembra non esser stata tanto ascoltata – per non paralizzare completamente quelle procedure di uscita dal mondo del lavoro che con il blocco dei licenziamenti – in realtà non per tutte le fattispecie e non per tutte le categorie legali (e qui si aprirebbe un altro dibattito anche alla luce della recentissima ordinanza del Tribunale di Roma(2)) – sono state di fatto congelate. Si pensi, solo, alle procedure ex art. 7 L. n. 604/1966 pendenti da inizio pandemia dinanzi agli Ispettorati Territoriali del Lavoro. Lo scongelamento delle procedure di uscita, come ormai si sente parlare da anni, dovrebbe – e dovrà in futuro – essere accompagnato da forti politiche attive del lavoro, strutturate e strutturali che ad oggi risultano un po’ carenti. C’è da osservare inoltre che nel 2020 l’occupazione, soprattutto quella femminile e giovanile, ha subito una dura battuta di arresto.
L’ampio spazio di azione lasciato dalla norma – tra l’altro l’INPS fino ad ora ha emanato indicazioni quasi solo di merito all’accesso alla NASpI – conferisce la possibilità di strutturare un verbale di accordo tra le parti in grado di spaziare sia sugli importi sia sulle ragioni del ricorso ad uno strumento come questo, con l’obiettivo chiaro ed unico di incentivare le uscite volontarie. Tale strumento, a differenza ad esempio del contratto di espansione, non vincola nuovi ingressi o percorsi di formazione, oltre che a dichiarazioni di esuberi e/o ristrutturazione complessive degli assetti produttivi (per intenderci attinenti al core business dell’impresa).
Le Società dovranno stipulare un Accordo, quadro, con le OO.SS. più rappresentative sul piano nazionale, senza quindi RSA/RSU e potranno – si consiglia – in sede protetta stipulare degli accordi individuali. L’accesso alla NASpI, con tale misura, è assicurato soltanto presentando il verbale sottoscritto tra la Società e le OO.SS. Sull’accesso alla NASpI, l’INPS si è espresso con un suo recentissimo messaggio(3), con il quale indica che l’accordo è valido a tutti gli effetti anche se solo una delle sigle sindacali sottoscrive con la Società l’accordo di incentivo all’esodo e dunque produce validità ed effetto giuridico, relativo l’accoglimento della domanda di NASpI presentata dal lavoratore.
Tornando al tema, la legge di bilancio 2021 insiste su quanto già indicato dall’impianto normativo dei decreti di agosto ed ottobre – il primo emanato quando tutti erano sotto l’ombrellone o affollavano i rifugi alpini – sull’opportunità di concludere accordi collettivi, sottoscritti con le OO.SS., con pacchetti, in via logica anche minimi, di incentivazione all’esodo ed accesso semplificato alla NASpI. Strumento ad oggi già abbastanza diffuso, infatti le aziende di grossa taglia, cogliendone l’opportunità, hanno già imbandito il tavolo con diverse mensilità sia in ragione dell’anzianità anagrafica che di servizio volte a garantire uno snellimento degli organici e contestuale riduzione di costi, o forse anche un ricambio generazionale accompagnandolo con un piano di reindustrializzazione ed innovazione tecnologica e digitale.
Tale strada potrebbe giovare a quella tanto attesa alternativa e via di uscita che è quella delle procedure di licenziamento collettivo che come noto sono assai onerose, cavillose e saranno – visto il periodo – difficoltose da concludere – nello scenario di fine pandemia – con accordi sindacali aventi esisto positivo: ricordo che il c.d. ticket di licenziamento per aziende soggette a CIGS – quelle industriali e commerciali mediamente di grandi dimensioni – è pari a 9.059,04 € cadauno e la metà per quelle non soggette a CIGS. Tutto ciò con il rischio di impugnazioni con relativi e conseguenti esborsi economici per cause di lavoro che in caso di mancato accordo con le OO.SS. lasciano libera via ad azioni legali. La garanzia di un accordo tra OO.SS. e società nel panorama di cui all’art. 1, comma 311 della Legge di Bilancio – ferma restando la libertà di aderire da parte dei lavoratori – dovrà, al fine di conferire maggior tutela alle Parti, essere seguito – non obbligatoriamente, ma caldamente consigliato – poi da un verbale da stipulare in c.d. sede protetta che vincoli le parti reciprocamente a non eseguire ulteriori azioni l’una contro l’altra. Tale soluzione prospettata agevola e snellisce sicuramente le procedure di uscita. La norma in questione, infatti, conferisce ampio spettro e libertà alle parti di normare le modalità di uscita: non si applicano le indicazioni normative in materia di criteri di scelta, dichiarazione preventiva di esuberi così come previsto dalla L. n. 223/1990, ma si basa sulla esclusiva volontarietà del personale interessato.
Questo strumento, concludendo, dunque può essere e potrà essere una grande opportunità per le società: usarlo sarà molto vantaggioso.
Note
(1) Art. 1, comma 311, L. n 178/2020.
(2) Tribunale di Roma, Sez. III Lavoro, ordinanza del 26.02.2021.
(3) Messaggio n. 689 del 17/02/2021: “[…] è emerso che alcune Strutture territoriali respingono le domande di indennità NASpI laddove l’accordo collettivo aziendale sottostante alla risoluzione consensuale rechi la firma di una sola e non di tutte le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Sulla tematica si fa presente che – ai fini della validità dell’accordo collettivo aziendale per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro – ciò che rileva non è la sottoscrizione dell’accordo da parte di tutte le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, bensì la sottoscrizione dell’accordo medesimo anche da parte di una sola di queste organizzazioni sindacali, nonché l’adesione all’accordo da parte del lavoratore. Quest’ultima condizione consente, per espressa previsione normativa, l’accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI, qualora sussistano tutti gli altri requisiti previsti dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22”.