Legittima la sospensione da lavoro se i sanitari rifiutano il vaccino contro il Covid-19
È quanto deciso dal Tribunale di Belluno, all’esito di un ricorso ex art. 700 c.p.c., avanzato da alcuni operatori in servizio in una RSA, poi sospesi come diretta conseguenza del proprio rifiuto alla vaccinazione anti Covid-19.
Nel caso di specie, le mansioni espletate dai sanitari erano svolte a stretto contatto con gli avventori della struttura.
Ebbene, secondo la Corte Veneta, il ricorso difetterebbe del requisito del fumus boni iuris giacché è “notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA”e, comunque sia, “la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di laoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c.”.
Sennonché, parimenti dicasi sull’insussistenza del periculum in mora dal momento in cui ai ricorrenti è stato imposto dall’azienda un periodo di ferie ex art. 2109 c.c. e che in un simile caso “l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c…prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie”
Chiarita l’insussistenza dei requisiti indefettibili per la concessione di un provvedimento d’urgenza, il Giudice di merito ha specificato come non sia stata provata “l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento”.
Questa breve sentenza, particolarmente ellittica nel suo iter logico-giuridico, è un importante arresto giurisprudenziale –almeno in relazione alle mansioni sanitarie- per quanti abbiano teorizzato soluzioni volte ad “evitare la permanenza degli operatori non vaccinati sul luogo di lavoro”.