“Legge di Bilancio 2021” e bonus nuove assunzioni: una prima analisi

Gli effetti della pandemia che ha dominato per tutto il 2020 non mancano di ripercuotersi anche sulla prima tranche del 2021, paralizzando – in una certa qual misura – l’operato tanto delle grandi, quanto delle piccole/medie imprese.

Il riferimento è non solo al famigerato divieto di licenziamento (da ultimo prorogato sino al 31 marzo 2021: cfr. art. 1, comma 309, legge n. 178/2020), quanto alle incertezze in termini di riprogrammazione e riconversione industriale che alcune realtà imprenditoriali potrebbero essere costrette ad intraprendere, in difetto di chiare indicazioni legislative.

Nonostante questo panorama di incertezze, nella legge n. 178/2020 (c.d. “Legge di Bilancio 2021”) è comunque delineato un complesso meccanismo volto ad incentivare un ricambio generazionale: in particolare, con tale meccanismo si vuole favorire, da un lato, l’ingresso di risorse giovani nel mondo del lavoro e, dall’altro, la fruizione di percorsi di uscita da parte delle risorse attualmente in forza.

In questa sede ci occuperemo del primo profilo, ossia della disciplina sull’ingresso di nuova forza lavoro in azienda, rimandando ad altra sede l’analisi del secondo profilo, ossia l’incentivazione all’esodo del personale già occupato in azienda.

Orbene, la disciplina sulle nuove assunzioni prevista dalla c.d. “Legge di Bilancio 2021” è essenzialmente fondata su due bonus: il c.d. “Bonus Donna” (cfr. art. 1, commi 16-19, legge n. 178/2020) e il c.d. “Bonus Under 36” (cfr. art. 1, commi 10-15, legge n. 178/2020).

Il primo bonus, come lascia intuire il nome, vuole incoraggiare un “incremento occupazionale netto” della manodopera femminile (cfr. art. 1, comma 17, legge n. 178/2020) recuperando l’esonero contributivo già previsto dalla “Legge Fornero” e portandolo al 100%, sino ad un limite massimo di 6.000 euro l’anno. L’esonero in questione, che per le aziende rappresenta un risparmio di spesa non indifferente, è destinato a coprire le assunzioni – da effettuarsi nel biennio 2021-2022 – di donne “prive di un impiego regolarmente retribuito” (i) da almeno 6 mesi, se residenti in aree svantaggiate, oppure (ii) da almeno 24 mesi, a prescindere dal luogo di residenza (cfr. art. 4, comma 11, legge n. 92/2012).

Il secondo bonus, anche qui come lascia intuire il nome, vuole incoraggiare invece “l’occupazione giovanile stabile” (cfr. art. 1, comma 10, legge n. 178/2020), vale a dire di risorse che, a prescindere dal genere, non abbiano ancora compiuto 36 anni nel 2021 e non siano già stati assunte in passato – presso lo stesso datore oppure presso altro datore di lavoro – con contratto a tempo indeterminato. Anche in questo caso l’incentivo è riconosciuto nella misura del 100 per cento e nel limite di 6.000 euro annui; il periodo di fruizione, di base pari a 36 mesi, è elevato a 48 mesi se la sede in cui ha luogo l’assunzione è ubicata in “Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna” (cfr. art. 1, comma 11, legge n. 178/2020).

Se questi incentivi rappresentano un input verso l’ammodernamento “dall’esterno” delle realtà produttive italiane, vi sono nondimeno altri strumenti che, per contro, tendono verso un ammodernamento “dall’interno”: il riferimento è, tra tutti, allo strumento denominato “Fondo Nuove Competenze”, espressamente volto a “realizzare specifiche intese di rimodulazione dell’orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa ovvero per favorire percorsi di ricollocazione dei lavoratori” mediante la conversione di parte dell’orario di lavoro di quest’ultimi in corsi di formazione di qualsiasi genere (cfr. art. 88, comma 1, d.l. n. 34/2020).

Tale strumento, operativo sin dalla metà del 2020 (e, in base agli attuali rumors, utilizzabile anche nel 2021), ha fatto registrare sinora 4,3 milioni di ore di lavoro convertite in formazione, con il coinvolgimento di circa 50.000 lavoratori.

Ciò detto, l’alternativa che si prospetta per i datori di lavoro durante il 2021 è, ancora una volta, tra il mantenere immutata la propria forza lavoro, oppure cambiarla a seconda di quelle che sono – e saranno – le mutevoli esigenze del mercato. Si tratta di un’alternativa non semplice, poiché i bonus citati ed il Fondo Competenze sono entrambi soggetti a particolari condizioni (ad es.: la fruizione dell’incentivo “Under 36” impedisce di procedere, nei nove mesi successivi alla fruizione, a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e/o collettivi; d’altro canto, l’operatività del Fondo Nuove Competenze è condizionata al previo raggiungimento di un accordo sindacale).

Chiaro, poi, che dietro tale alternativa si cela la secolare sfida tra insider ed outsider del mondo del lavoro, tutt’altro che certa o prevedibile. A fare da arbitro in questa contesa saranno senz’altro le aziende, con le opzioni messe a loro disposizione; ma il terreno di gioco è quello disegnato dal Legislatore.

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