Il danno da demansionamento nell’ultima interpretazione della Corte di Cassazione (Cass. n. 23144/2020)

Il danno da demansionamento è stato, da sempre, oggetto di dibattito giurisprudenziale.

Negli ultimi tempi, quest’ultimo si è concentrato maggiormente sul tema della prova del danno non patrimoniale, mentre meno perplessità suscita la sussistenza dell’onere probatorio in capo al lavoratore che lamenta il danno.

Sul punto, è interessante porre in risalto una recentissima pronunzia della Cassazione che, con la sentenza n. 23144 del 22 ottobre scorso, rigettando il ricorso del lavoratore, ha confermato una decisione della Corte di Appello di Torino.

Il punto cruciale della vicenda riguardava il riconoscimento in favore del dipendente del pregiudizio lamentato, in termini di danno non patrimoniale in conseguenza del demansionamento patito.

Infatti,  la Corte territoriale sosteneva che il dipendente non avesse dato prova, o meglio prova specifica, del nesso di causalità tra lo ius variandi pretesamente illegittimo e il conseguente danno, richiamando “giurisprudenza di legittimità confermativa del principio secondo cui il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non ricorreva automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non poteva prescindere da una specifica allegazione, dall’esistenza di un pregiudizio provocato sul fare (a)reddituale del soggetto che ne alterasse le abitudini e gli assetti relazionali, inducendolo a scelte di vita diverse” (pag. 2, p.to 5, sent. cit.).

In ragione di quanto detto, la Cassazione – nella sentenza in commento – ha passato in rassegna la più recente Giurisprudenza in tema di onere probatorio per il danno da demansionamento, evidenziando un “panorama giurisprudenziale di legittimità variegato”.

Invero, alcune di queste pronunce mettevano in risalto la necessità che le prove a sostegno del danno non patrimoniale fossero legate a circostanze precise e concordanti (Cass. n. 9295/2020) o, ancora, che il demansionamento avvenisse in un lungo arco temporale (Cass. n. 7483/2020); altre, invece, ritenevano ci fosse stato un alleggerimento del carico probatorio in tema di presunzioni, soprattutto in riferimento all’inattività professionale; altre ancora, erano riferite al modus cogitandi del procedimento presuntivo o, meglio, all’accuratezza dell’indagine giudiziale e in che limiti l’interpretazione del Giudice, ex artt. 115 e 116 c.p.c., potesse essere censurata in sede di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. nn. 5038/2020, 2356/2020 e 5484/2019).

Nel caso di specie, la S.C. è giunta alla conclusione che non solo le circostanze addotte dal ricorrente, per come formulate, risultavano generiche ed astratte, dato che “in tema di demansionamento e dequalificazione professionale, il pregiudizio – danno non patrimoniale – non si identifica con l’inadempimento datoriale e non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale”.

            In particolare, la decisione in commento suscita interesse per l’esame del rapporto tra contenuto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), rilevanza, ex art. 2729 c.c., della prova per presunzioni (che deve comunque fondarsi su fatti noti e concreti), valutazione del Giudice di merito e sindacabilità in Cassazione.

La Corte conclude, rigettando il ricorso, dati il contenuto e i confini del ragionamento presuntivo: ai sensi dell’art. 116 c.p.c., il Giudice deve valutare le prove in ragione di un suo prudente apprezzamento che non può essere sottoposto ad un sindacato di legittimità, essendo limitato, per sua natura, ai gradi di merito.

Infatti, “tale giudizio, idoneamente argomentato e frutto di una valutazione di merito, non è sindacabile … nella presente sede di legittimità … posto che, al di là del richiamo alla violazione delle norme rubricate … nella sostanza le stesse mirano a confutare la valutazione di inadeguatezza delle prospettazioni del ricorrente, espressa dalla Corte distrettuale, a costituire la base di un valido ragionamento presuntivo, che presuppone la sicura identificazione dei fatti noti dai quali risalire, in virtù di tale percorso logico giuridico, a quello ignoto”.