Somministrazione a tempo indeterminato. L’interpretazione della Corte di Giustizia Europea e i “riflessi” sul diritto interno
“L’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale […] osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.”
Questo è quanto stabilito, nella causa C-681/18, dalla Corte di Giustizia Europea, Sezione Seconda, nella sentenza del 14 ottobre scorso.
E una lettura approfondita della – inedita – pronuncia non può che condurre a rifletterne le potenzialità in termini di conseguenze o, per meglio dire, di ricadute sul diritto interno.
Invero, superato il merito della questione, che, in sintesi estrema, concerne un substrato normativo (D.L.gs. 276 del 2003) ormai abrogato e le anomalie che da questo scaturivano ossia, in specie, la reiterazione, sine die, dei periodi di missione presso l’utilizzatore, risultano invece essenziali i principi e gli elementi di interpretazione favoriti dalla Corte, a livello sistemico, per valutare, nel solco del principio di conformazione (art. 4, p. 3 TUE), l’aderenza delle disposizioni nazionali al diritto eurounitario.
In questo senso, prodigandosi in una esaustiva ricognizione della direttiva 104, la Corte mette il punto sul concetto di “parità di trattamento” sancito dall’articolo 5 paragrafo 1, fornendone una rappresentazione estensiva e, soprattutto, funzionalizzata alla tutela e preservazione della forma comune dei rapporti di lavoro: il contratto – non intermediato – a tempo indeterminato.
Secondo il giudice europeo, il duplice obbiettivo perseguito dalla direttiva, di flessibilità per le imprese e di sicurezza che risponde alla tutela dei lavoratori, coglie “la volontà del legislatore dell’Unione di ravvicinare le condizioni del lavoro tramite agenzia interinale ai rapporti di lavoro «normali» [incoraggiando] l’accesso dei lavoratori […] ad un impiego permanente presso l’impresa utilizzatrice”.
Di guisa che, anche alla luce del diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose (art. 31 CDFUE), la postulata identità delle “condizioni di lavoro e d’occupazione” fra lavoratori somministrati e direttamente assunti dall’impresa utilizzatrice (art. 5, p. 1 supra), non può che tradursi nell’obbligo “anche a far sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente”, anche perché ciò avverserebbe il tenore letterale dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere da b) a e) della direttiva, il quale, fornendo le nozioni di «agenzia interinale», «lavoratore tramite agenzia interinale», «impresa utilizzatrice» e di «missione», rende manifesto il carattere assolutamente temporaneo del rapporto.
A questo punto, considerato che anche il nostro ordinamento riconosce nella stabilità contrattuale standard un generale principio di ordine pubblico (cfr. Cass. n. 15822/2002) e che la normativa UE sembra, dunque, insensibile alla “solidità” della tipologia contrattuale, a termine o meno, formalizzata fra lavoratore interinale e agenzia, appare lecito interrogarsi sulla legittimità della disciplina interna in materia di somministrazione lavoro.
In particolare, alla luce di quanto precede, più di un dubbio sorge sull’articolo 31 c. 1 del D.L.gs. 81 del 2015, posto che la prevista somministrazione a tempo indeterminato, c.d. staff leasing, costituirebbe una perfetta antinomia dell’obbiettivo prefisso dalla direttiva, almeno nei termini proposti dalla pronuncia, situazione giuridica per nulla attenuata dal fatto che il prestatore sia assunto con contratto a tempo indeterminato dal somministratore.
Dunque, in attesa di eventuali pronunciamenti sul merito, sembrano comunque sussistere elementi sufficienti per impostare una seria riflessione, de jure condendo, sulla disciplina vigente e sul ruolo “ibrido”, fra mercato e diritto del lavoro, giocato dalla somministrazione di manodopera.