Lavoro straordinario e cessione d’azienda: per il cessionario il forfait diventa superminimo
Le prestazioni di lavoro straordinario sono compensate mediante maggiorazione della retribuzione ordinaria, secondo le previsioni del contratto collettivo applicato (Art. 2108 c.c.; art. 5 D. Lgs. n. 66/2003).
Nella prassi, tuttavia, è assai frequente che il datore di lavoro e il lavoratore si accordino per un importo mensile a titolo di straordinari forfettizzati. In altre parole, al lavoratore viene corrisposto un compenso predeterminato che non subisce alcuna variazione in funzione delle ore effettivamente svolte.
La forfettizzazione, dunque, non è soggetta al vincolo della legge e della contrattazione collettiva; la determinazione del compenso è rimessa all’autonomia delle parti, fermo restando il diritto del lavoratore di non sottoscrivere accordi del genere o di ottenere le differenze retributive tra il compenso forfettario e le ore di lavoro effettivamente prestate.
Tale circostanza rende l’istituto del lavoro straordinario di difficile interpretazione nell’ambito delle vicende circolatorie dell’azienda.
Il tema è stato recentemente affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza n. 241457/2020) chiamata a pronunciarsi sulla possibilità che, in occasione del trasferimento d’azienda, il lavoratore passato alle dipendenze del cessionario conservi l’elemento distinto della retribuzione.
A detta dei giudici: “Il compenso forfettario della prestazione resa oltre l’orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario”.
La Suprema Corte, dunque, nel ribadire un principio già elaborato in passato (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. Sentenza n. 4/2015) ha sottolineato la funzione “mutevole” del compenso forfettario che, indipendentemente dalla qualifica formale attribuita dal datore di lavoro e dalle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, può assolvere a una funzione differente da quella originaria. Ciò fa si che l’emolumento si trasformi in un superminimo individuale e, come tale, retribuzione stabile non riducibile unilateralmente dal datore di lavoro.
Il ragionamento prende le mosse dalla lettura dell’art. 2112 c.c., la cui funzione è quella di garantire al lavoratore la continuità dal rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario, rafforzando (mediante la previsione di responsabilità solidale tra cedente e cessionario) i crediti già acquisiti dal lavoratore stesso. Anche il compenso forfettario, dunque, attesa la sua natura variabile, rientra nel novero delle tutele contenute in tale norma e coinvolge il cessionario del ramo d’azienda, tenuto al rispetto dei trattamenti vigenti alla data del trasferimento.