Politiche del lavoro: il Fondo nuove competenze
L’attuale emergenza epidemiologica ha evidenziato, oggi più che mai, il ruolo marginale attribuito fino ad oggi alle politiche attive del lavoro in Italia.
Come era prevedibile aspettarsi, la rapida diffusione del virus sull’intero territorio nazionale ha indotto il Governo ad attuare, dal punto di vista occupazionale, un massiccio e generalizzato ricorso a interventi di politiche del lavoro di tipo “protettivo”, orientati perlopiù alla salvaguardia dei posti di lavoro minacciati dalla sospensione delle attività.
Il ricorso a strumenti di protezione, quali il blocco dei licenziamenti economici, le disposizioni in materia di trattamenti di integrazione salariale, l’estensione della platea dei beneficiari circa l’accesso a misure economiche straordinarie, rischia, però, di risultare vano se, alla fine dell’emergenza sanitaria, non si sarà in grado di avviare un importante potenziamento delle politiche attive del lavoro.
Un primo importante intervento per favorire il rilancio delle politiche attive è rappresentato dall’istituzione del Fondo nuove competenze previsto dal Decreto Legge “Rilancio” (art. 88 D.L. n. 34/2020, modificato dall’art. 4 del D.L n. 104/2020) e reso operativo con il decreto interministeriale del 9 ottobre 2020 e con determinazione ANPAL del 4 novembre 2020.
Destinatari della misura sono i datori di lavoro privati che sottoscrivano, entro il 31 dicembre 2020, accordi collettivi territoriali o aziendali di rimodulazione dell’orario di lavoro dei propri dipendenti, per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa o per favorire percorsi di ricollocazione. Le FAQ pubblicate il 23 novembre 2020 dall’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL) chiariscono che i contributi a fondo perduto del Fondo nuove competenze sono destinati non solo alle imprese, ma a tutti i datori di lavoro del settore privato, compresi i liberi professionisti, che hanno dipendenti e che applicano il CCNL.
La misura risponde, da un lato, all’esigenza di accompagnare la graduale ripresa dell’attività lavorativa delle imprese, sostenendo queste ultime nel processo di adattamento ai nuovi modelli organizzativi e produttivi, e rafforzando il know-how aziendale alla luce dei nuovi fabbisogni; dall’altro, mira ad “innalzare il livello del capitale umano”, offrendo ai lavoratori strumenti per lo sviluppo e aggiornamento delle proprie competenze per adeguarsi, attraverso appositi percorsi formativi, alle nuove condizioni del mercato del lavoro.
È interessante sottolineare che l’art. 3 del sopracitato D.M. del 9 ottobre 2020 prevede che, in sede di accordo sindacale, le attività formative per incrementare l’occupabilità del lavoratore previste dal Fondo possano essere finalizzate anche a “promuovere processi di mobilità e ricollocazione in altre realtà produttive”:tale previsione potrebbe rappresentare un efficace strumento per fronteggiare uno dei principali effetti della crisi occupazione post pandemia, quale l’eccedenza di personale.
La dotazione del fondo è costituita, al momento, da 730 milioni di euro, di cui 230 milioni a valere sul Programma operativo nazionale Sistemi di politiche attive per il lavoro (PON SPAO), cofinanziato dal Fondo sociale europeo (FSE). Tale dotazione potrà essere incrementata con ulteriori risorse dei Programmi operativi nazionali e regionali di FSE e, per le specifiche finalità, del Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori e dei Fondi paritetici interprofessionali.
Presupposto per l’accesso al Fondo nuove competenze è la sottoscrizione di un accordo collettivo di secondo livello da parte di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (in caso di accordo territoriale), ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operative in azienda (in caso di accordo aziendale).
L’ accordo collettivo, da sottoscrivere entro il 31 dicembre 2020, deve prevedere: i progetti formativi; il numero di lavoratori coinvolti nell’intervento; il quantum di ore dell’orario di lavoro da destinare a percorsi per lo sviluppo delle competenze (con un limite massimo di 250 ore per ciascun lavoratore). Nell’accordo è necessario individuare con precisione i fabbisogni del datore di lavoro in termini di nuove o maggiori competenze, in risposta alle mutate esigenze produttive dell’impresa e del conseguente adeguamento necessario per la riqualificazione del lavoratore. Sul punto, la scelta di affidare l’individuazione degli interventi ai contratti di prossimità va salutata con grande favore, in quanto consente alle parti stipulanti di bilanciare al meglio gli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e, al tempo stesso, di adeguarsi alle specifiche peculiarità ed esigenze del comparto produttivo.
Per quanto riguarda la formazione, possono svolgere il ruolo di soggetti erogatori gli enti accreditati dei sistemi nazionali e regionali di formazione professionale, le istituzioni scolastiche, le Università, ma anche la stessa azienda, qualora dimostri il possesso di specifici requisiti tecnici, fisici e professionali di capacità formativa.
La gestione del Fondo nuove competenze è affidata all’ANPAL che, con bando pubblicato il 4 novembre, ha aperto i termini per la presentazione delle istanze. L’erogazione del contributo è eseguita dall’ INPS in due tranche: anticipazione del 70% e erogazione del restante 30% a saldo. Il finanziamento, autorizzato da ANPAL con cadenza trimestrale, avviene attraverso il meccanismo dello sgravio contributivo operato dall’INPS e remunera ai datori di lavoro il costo del personale, comprensivo di contributi previdenziali e assistenziali, relativo alle ore di frequenza dei percorsi di sviluppo delle competenze stabiliti dagli accordi collettivi.
La strada da percorrere nel campo delle politiche attive è ancora lunga. Nonostante un importante investimento sia in termini economici che di capitale umano, è indispensabile operare un riordino delle potestà legislative che introduca una razionalizzazione istituzionale ed elimini gli effetti distorsivi più evidenti prodotti dall’attuale riparto di competenze, nel quadro di un’armonizzazione e uniformità delle attività di programmazione nel campo delle politiche attive. Fino ad oggi troppe incertezze, sia in temi di governance che di raccordo istituzionale, hanno frenato l’operato degli organismi chiamati a gestire le politiche attive del lavoro. L’impianto costituzionale previsto dal Titolo V, infatti, affida le “politiche attive” alla competenza concorrente di Stato e Regioni, rendendo concreto il rischio di un’elevata frammentazione e riduzione della capacità di intervento degli attori che operano in tale ambito.
Investire, oggi, nelle politiche attive del lavoro, attraverso un piano strutturale di interventi in materia, rappresenta, sine dubio, un imperativo fondamentale per aggredire gli effetti provocati dalla crisi occupazionale e per risollevare concretamente i settori più colpiti dalla crisi pandemica; come è indubitabilmente necessario agire sul terreno delle tutele concrete da apprestare alle categorie di lavoratori più deboli, quali giovani e lavoratori precari.